A chi, come il sottoscritto, è ormai giunto alla soglia degli ‘anta ed ha un minimo di dimestichezza con i computer, il nome Napster suonerà piuttosto familiare. Un po’ di storia. Correva l’anno 1999, internet, anzi, la Rete era pressoché agli albori e milioni di persone in tutto il Pianeta erano terrorizzate per via dal fantomatico Millenium Bug, teoria secondo la quale, la quasi totalità dei computer sarebbe stata mandata in tilt dal cambio di data che sarebbe avvenuto allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre di quello stesso anno. Una bufala, ovviamente. Ebbene, il 1999 sarà ricordato anche per un altro fenomeno, informatico sì ma non solo, perché, di fatto, rivoluzionò il mercato della musica e, di riflesso, anche quello del cinema e dell’editoria. Napster, appunto. Ovvero il primo programma di file-sharing grazie al quale diventò possibile scaricare in maniera del tutto gratuita – ma anche illegale – i files delle canzoni che gli utenti stessi, a loro volta, mettevano in rete perché tutti potessero accedervi.
Da allora nulla fu come prima
Sembrerà un luogo comune ma è esattamente così, infatti, l’avvento di Napster e del principio di file-sharing sancirono l’inizio di una crisi irreversibile per la vendita degli album musicali che, nel corso dell’ultimo decennio, ha subito un crollo verticale. Non è un caso se, mentre tutti, major in testa, si affannavano nel tentativo di contrastare il fenomeno (un po’ come provare a fermare il vento con le mani), l’unico che comprese che fosse necessario giocarsi la partita sul terreno del digitale fu un certo Steve Jobs, che partorì due intuizioni geniali: iPod ed iTunes. Ovvero la possibilità di avere sempre a portata di mano migliaia di titoli musicali ma, a differenza dei normali lettori mp3, vincolandone l’acquisto sulla piattaforma di casa Apple.
L’idea vincente
Dare a tutti la possibilità di comprare in modo del tutto legale, e quindi senza esporsi a rischi di sorta, anche soltanto il singolo brano a 99 cents, un prezzo accessibile a chiunque. Insomma, una bella differenza con i venti euro (ed in alcuni casi anche di più) necessari per portarci a casa il cd fisico. Altro fattore da non trascurare è l’usabilità della canzone, ovvero la possibilità di ascoltarla dovunque, in qualsiasi momento, e da ogni device Apple di cui siamo in possesso.
Certo, iTunes (e insieme ad esso tutte le piattaforme che sono nate successivamente) non è bastato a debellare il problema della pirateria ma, almeno, ha aperto un nuovo segmento di mercato grazie al quale gli artisti si vedono comunque garantita una fonte di guadagno per la loro musica, ma non solo. Perché a mio avviso, la vera novità introdotta da iTunes è la “democratizzazione” del mercato. Mi spiego. Prima, per pubblicare un disco, bisognava necessariamente passare dalle major discografiche, non c’erano alternative. Ergo, se non piacevi oppure stavi antipatico al talent scout di turno, addio speranze e sogni di gloria. Oggi, invece, chiunque abbia inciso un brano ha la chanche concreta di potersi autopubblicare e di farsi conoscere attraverso gl’innumerevoli strumenti che il web mette a disposizione. Comunque difficile, ma si tratta pur sempre di un’opportunità che prima non esisteva.
Stesso discorso vale per l’editoria, anche in Italia, dove finalmente il fenomeno del selfpublishing comincia ad attecchire e che, sono pronto a scommetterci, da qui a un paio d’anni assumerà proporzioni per molti addetti ai lavori assolutamente inaspettate. La dimostrazione tangibile di quanto ne sia effettivamente convinto è che per il mio ultimo romanzo (Il Predestinato) ho rinunciato ad offerte anche piuttosto lusinghiere avanzatemi da case editrici blasonate, scegliendo di autopubblicarmi con Youcanprint.
Torniamo alla musica
Ché, poi, è il motivo per cui ho cominciato a scrivere quest’articolo. Altra rivoluzione. Ossia quella messa in atto dagli U2 in collaborazione con Apple (guarda caso!), grazie alla quale il loro ultimo album “Songs of innocence” è stato regalato a tutti i 500.000.000 di utenti iTunes per il Globo, facendone l’album di gran lunga più diffuso della storia della musica. Disco peraltro meraviglioso, che ci regala sonorità che riportano agli albori della band di Bono Vox, restituendoci chitarre “ignoranti” che sarebbero state a loro agio anche in Boy, l’album con cui esordirono nel 1980, trentaquattro anni fa, quando ancora riavvolgevamo il nostro della cassetta con una matita. Altro che smartphone.