Alessandro Nardone per Vanity Fair – È un caso che il dibattito più atteso di tutti i tempi abbia visto fronteggiarsi i due candidati più impopolari della storia delle elezioni presidenziali americane? Assolutamente no, perché sono stati proprio il senso d’incertezza e la voglia di capire, a creare un’attesa tale da spingere l’America intera a fermarsi per assistere al duello che si è consumato stanotte all’Hofstra University di New York. Ne erano perfettamente consapevoli i due candidati che, certamente non a caso, hanno subito dimostrato le rispettive intenzioni indossando uno i colori dell’altro: cravatta azzurra per Donald Trump, e abito rosso per Hillary Clinton (al suo 35mo dibattito presidenziale). Scelte non di semplice carattere estetico, ma dettate da precise regole di comunicazione.
Rosso «forza e coraggio» per Hillary, e azzurro «calma e dialogo» per Trump. Insomma, se dopo la polmonite la candidata democratica aveva bisogno di palesare la sua forza, il magnate newyorkese doveva dimostrare di essere in possesso dell’equilibrio necessario per rivestire la carica più importante del Pianeta. Sin dalle prime battute, sono emersi i frutti del lavoro di preparazione svolto nelle scorse settimane da Hillary Clinton, che ha simulato alcuni dibattiti con vere e proprie controfigure di Trump, come il consulente di strategie politiche Philippe Reines, noto per la sua personalità vulcanica che ricorda molto da vicino quella del candidato repubblicano. Dal canto suo, Donald Trump – che ha preferito esercitarsi con una lunga sessione di domande sotto la supervisione dell’ex Sindaco della Grande Mela, Rudy Giuliani – si è da subito rivolto alla sua avversaria chiamandola «Segretario», una tattica per rafforzare l’argomento principale della sua campagna, ovvero porsi come «il nuovo» contro Hillary Clinton che, invece, rappresenta l’establishment, la «disastrosa» amministrazione Obama, i fallimenti in politica estera e lo scandalo delle email.
Nonostante la molta tattica, il primo scontro tra i due candidati alla Casa Bianca è stato tutto fuorché noioso, anzi, direi che abbiamo certamente assistito a uno dibattiti più combattuti, a tratti anche ferocemente, di tutti i tempi. Già, perché da parte di entrambi l’atteggiamento è stato da subito quello di non voler risparmiare fendenti all’avversario, con Donald Trump che ha prevalso nettamente sul lavoro incalzando la Clinton proprio su quello che lei ritiene un punto di forza, l’esperienza «non hai fatto nulla negli ultimi 30 anni, come pensi di farlo ora?», e sulla sicurezza «vuole combattere l’Isis e dice di guardare il suo sito…».
Hillary, invece, è stata abilissima a togliersi subito dall’angolo quando Trump le ha rinfacciato l’Emailgate, spostando la discussione sul tallone d’Achille dell’avversario, ovvero le tasse. «Forse americani vogliono sapere se Trump non ha pagato le tasse. Non pagarle significa non dare soldi alla scuola e ai nostri soldati. Questi conflitti d’interesse ci sono. Sulle email ho commesso un errore, non ci sono scuse, sono responsabile». Per il resto, sostanzialmente è emerso il solito Trump efficace grazie slogan rassicuranti come «law and order», e una Hillary Clinton agguerrita, molto preparata, ma forse poco incline a utilizzare un linguaggio in grado di «far arrivare» ciò che dice a chi la ascolta. Forma e sostanza, insomma. L’ideale sarebbe trovarne quella sintesi che, purtroppo per gli Americani (e non solo), proprio non c’è.
*Clicca qui per la storia del candidato fake Alessandro Nardone / Alex Anderson e qui per il suo reportage dalla Convention Repubblicana di Cleveland