Alessandro Nardone per Vanity Fair – Il miglior dibattito tra i candidati peggiori. Questa, in buona sostanza, è la sintesi dell’ultimo dei tre confronti tra Hillary Clinton e Donald Trump andato in scena la scorsa notte all’Univeristy of Nevada di Las Vegas, dove entrambi i contendenti sono stati incalzati su questioni concrete dall’ottimo moderatore Chris Wallace, volto noto di Fox News.
Proprio così, perché la verità è che la stragrande maggioranza degli americani vive questa campagna elettorale portandosi addosso la croce di dover scegliere tra i due candidati più impopolari che, non a caso, hanno approfittato di quest’ultimo dibattito per tentare di mettere insieme i cocci dei rispettivi elettorati di riferimento.
Da una parte Hillary Clinton, la cui storia sia personale che politica è mal digerita da un segmento vastissimo del mondo Dem, al punto da aver spianato la strada al vero e proprio exploit del suo avversario alle primarie, Bernie Sanders, primo politico dichiaratamente socialista capace di conquistare un consenso tanto vasto negli Stati Uniti. I due, nel corso della campagna per la conquista della nomination, si sono inferti durissimi colpi, al punto che buona parte dei sostenitori di Bernie oggi dichiara apertamente che voterà per Trump in chiave anti-Hillary. Ebbene, non è certo un caso che la scorsa notte la Clinton abbia scandito più volte alcune delle parole chiave della campagna di Sanders come quando, ad esempio, ha esordito affermando che la Corte Suprema «dovrà stare dalla parte delle minoranze, non delle banche e delle corporations».
Sul fronte opposto c’è lui, Donald Trump, il «palazzinaro» che ha stravinto le primarie repubblicane insinuandosi abilmente tra le crepe di un partito lacerato dai personalismi, anche e sopratutto grazie alla sua spregiudicatezza comunicativa che, insieme alla mancanza di un avversario credibile, gli ha consentito di fare il pieno di voti anti-establishment. Questo, però, non significa che abbia conquistato la maggioranza dei repubblicani, anzi. Più semplicemente li ha indotti ad astenersi. Così, specularmente alla sua acerrima rivale, ha sfruttato l’ultima chance a sua disposizione nel tentativo di recuperare una parte di quell’elettorato conservatore che lo percepisce alla stregua di un intruso, difendendo con i denti il diritto al possesso di armi sancito dal Secondo Emendamento della costituzione americana dicendosi «orgoglioso del sostegno della NRA», scagliandosi contro l’aborto e ribadendo la sua intenzione di costruire il muro al confine col Messico perché «ci serve per fermare i signori della droga».
Oltre a puntellare i rispettivi elettorati, i due protagonisti del dibattito se le sono date di santa ragione anche in merito a questioni come l’idoneità a rivestire la carica di presidente degli USA. «Deciderò al momento se accettare l’esito del voto» l’affermazione (grave) di Trump a cui Hillary ha prontamente risposto «tu rifiuti tutto ciò che non va come vorresti», per poi sentirsi dire che le elezioni «sono truccate perché tu hai commesso crimini gravissimi e non dovresti nemmeno essere candidata».
Inevitabile, in tema di politica estera, il riferimento a Vladimir Putin e ai rapporti (tesissimi) con la Russia che, secondo la Clinton, ha messo in atto un’operazione di spionaggio senza precedenti «per determinare il risultato di queste elezioni», ovviamente a vantaggio di Trump che, da par suo, le ha risposto affermando che lei e Obama attaccano il presidente russo «perché ha dimostrato di essere più intelligente di voi», sostenendo poi di non conoscerlo ma che, se America e Russia andranno d’accordo «sarà una cosa positiva».
Non potevano mancare i rispettivi talloni d’Achille, ovvero le triviali affermazioni sulle donne e l’omessa dichiarazione dei redditi per Trump, l’Emailgate e la Clinton Foundation per Hillary: fatti scomodi, che entrambi hanno tentato di schivare con repentini, quanto disordinati, cambi d’argomento.
Un dibattito che non è stato vinto da nessuno ma che, con ogni probabilità, è stato perso da Trump perché verrà ricordato per quel suo «deciderò al momento» che, tuttavia, è esattamente quel che faranno moltissimi americani quando andranno a votare.