Lo sentiamo, leggiamo e, sì, a volte ci capita anche di dirlo, perché ormai tutti viviamo «come se non ci fosse un domani». Piuttosto ci piace illuderci che sia così, che un selfie al tramonto con un mojito in mano sia la prova che stiamo davvero vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo, quando con ogni probabilità quello scatto nasconde la necessità inconscia di voler emulare qualcosa o qualcuno per dare prova della nostra esistenza. Like ergo sum. Riflessione da cui scaturiscono un problema e un paradosso.
Dal primo sono forse parzialmente immuni gli individui della generazione del sottoscritto (41 anni suonati, accidenti!) non per particolari doti intellettuali, ma per il semplice fatto che un pezzo della nostra vita lo abbiamo vissuto senza il digitale. Ciò significa che dovremmo – il condizionale è d’obbligo – essere avvantaggiati rispetto a chi è venuto dopo di noi nel discernere tra il cosiddetto mondo reale e la nostra pagina di Facebook.
Dico questo perché il pericolo di cui parlavo poc’anzi riguarda la fragilità delle nostre personalità, derivante dal fatto che ogni giorno vengono plasmate su modelli vacui, futili, volgari e fuorvianti. Motivo per cui prima che agli altri, la prova della nostra esistenza dobbiamo darla a noi stessi, un quotidiano esercizio per autoilluderci che certi stereotipi siano effettivamente alla nostra portata.
Il paradosso è che imitiamo cose e persone in molti casi infinitamente peggiori di noi e anziché tentare di emergere grazie alle nostre qualità, ci facciamo trascinare nel baratro della mediocrità illudendoci che sia la strada più semplice per raggiungere il successo. Balle. Dietro a ogni obiettivo raggiunto ci sono fatica, sacrifici e soprattutto errori: sperare pigramente nella benevolenza di qualcuno o nel più classico dei colpi di culo equivale ad autocondannarsi al fallimento.
Se facciamo nostro questo concetto siamo pronti a vivere la rivoluzione digitale in forma attiva e non più passiva, avendo a nostra disposizione una platea potenzialmente smisurata a cui rivolgerci per mettere in evidenza il nostro talento in perfetta autonomia, senza dover chiedere nulla a nessuno se non a noi stessi.
Questo non lo dico io, ma un certo Steve Jobs, che nel suo celebre discorso ai laureandi dell’Università di Stanford, raccontò che sapere di avere i giorni contati a causa di un brutto male che gli era stato diagnosticato un anno prima fu la cosa migliore che potesse capitargli perché «quasi tutto – tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento – sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore».
Ecco, quello che dobbiamo essere bravi a fare, anche se non è per nulla semplice, è entrare nell’ordine di idee che ogni momento è quello buono per metterci all’inseguimento dei nostri sogni, anziché perdere tempo nel tentativo di omologarci a stili di vita che non ci appartengono. Allora sì, che avremo cominciato a vivere «come se non ci fosse un domani».