Soldi, lavoro, libertà: ha rinunciato a tutto per dirci che Orwell aveva ragione e che, anche se viviamo nel mondo reale e non tra le pagine del celebre 1984, siamo tutti intercettati. Grazie a Edward Joseph Snowden, Obama ha ammesso pubblicamente che gli Stati Uniti «spiano i governi di tutto il mondo» e, qualche mese prima di concludere la sua presidenza, ha firmato un disegno di legge per estendere il diritto alla privacy anche ai cittadini dei paesi alleati. Insomma, con il suo atto di coraggio Edward Snowden ha cambiato il corso della storia facendoci sapere che la nostra epoca è segnata da un vero paradosso: quegli stessi strumenti che ci fanno sentire liberi come non siamo mai stati prima, vengono utilizzati per controllarci, per ascoltare le nostre conversazioni telefoniche, per leggere ciò che scriviamo nelle e-mail e per sapere quanto spendiamo con la carta di credito. Dove andiamo, cosa facciamo, quali sono le nostre preferenze musicali. Sanno tutto di noi.
Furono questi i motivi che nel 2013 mi spinsero a essere tra i primi a scrivere di Snowden in Italia e, nel 2014, a pubblicare un romanzo – Il Predestinato – ispirato alla sua storia. Poi, nel 2016, la folle idea dell’esperimento sociale di Alex Anderson, il «candidato dalla Rete» in corsa per la Casa Bianca in ticket con Snowden forte di un programma incentrato sulla difesa della libertà e della privacy personale, in perfetta antitesi con Hillary Rodham Clinton, che non ha mai fatto mistero di pensarla in maniera diametralmente opposta all’ex tecnico dell’NSA.
«Sono le circostanze a fare di te una “gola profonda”. Fai quello che puoi, se vedi un’ingiustizia. Alzati e dì qualcosa. Non basta credere in qualcosa. Se vuoi vedere un mondo migliore, devi fare qualcosa perché migliori davvero», questa è la prima frase pronunciata da Snowden, che poi passa subito a privacy e informazione in questi primi mesi di presidenza Trump dicendosi preoccupato «guardando alla situazione della Casa Bianca, di questa amministrazione, del loro rapporto con la stampa, delle loro posizioni politiche. Questi sono tutti richiami in un momento in cui a sia a livello nazionale che internazionale le nostre vite sono caratterizzate da un’insicurezza e instabilità che pensavamo di esserci lasciati alle spalle, ma invece non è così».
La tecnologia ha fornito all’umanità un mezzo per globalizzare gli argomenti di discussione?
«Penso che Internet produca un sacco di persone che guardano a queste questioni in modo diverso, meno tribale, perché ascoltano e leggono più punti di vista. Possiamo confrontarci con molte più persone. Credo che più persone partecipino a una conversazione, e maggiori siano le possibilità che tra queste ce ne siano di informate».
Quali siti web dovrebbe evitare una persona che non vuole finire nel mirino dall’NSA?
«Normalmente si viene schedati a causa dei contenuti che pubblichi su Facebook o per ciò che scrivi nelle email. Nello specifico, l’unico caso che potrebbe generare sospetti su chi non è “schedato” sono i forum frequentati dai jihadisti».
Cosa succede dopo che l’NSA mette gli occhi su un utente?
«Diventano una sorta di proprietà. Un analista riceverà un rapporto giornaliero (o pianificato in base al riepilogo dell’attività di filtraggio dei dati) su ciò che è stato modificato nel sistema, sui dati residui non compresi dai sistemi automatici e così via. Sta all’analista fare quello che loro decidono, da quel momento il bersaglio appartiene al governo degli Stati Uniti».
Ora sei su Twitter. Stai diventando una persona pubblica molto conosciuta anche grazie a Citizenfour. Sei attivamente impegnato con la Freedom of the Press Foundation e hai anche il tuo flusso di pubblicazione attraverso un’azienda di social media. La stampa non ti è più necessaria per far conoscere il tuo pensiero. Come vedi questo fenomento?
«Oggi ci sono persone che mi seguono direttamente attraverso strumenti come Twitter, al momento parliamo circa 3,35 milioni di followers. Queste sono le persone che, almeno in teoria, posso raggiungere, con cui posso scambiare messaggi. Sia che si tratti di un centinaio di persone che di un milione di persone, i singoli individui hanno la possibilità di costruirsi un loro pubblico a cui rivolgersi e parlare direttamente. Chiaramente questo è il medesimo sistema che ha messo in evidenza le grandissime carenze dei media sulla narrazione dei fatti, come peraltro ha fatto Donald Trump. Allo stesso tempo queste strategie non funzionano ancora per cambiare opinioni e persuadere le persone in un ambito più ampio. Questo principio vale per tutti, anche per me. Ad esempio, il direttore dell’FBI potrebbe fare una dichiarazione falsa, o una sorta di affermazione fuorviante nella sua testimonianza al congresso. Ma io potrei controllare i fatti e dire che quanto afferma non corrisponde al vero. Ecco perché siamo di fronte a una grande tendenza alle interazioni che scaturiscono da nuovi media tipo Twitter che consentono a chiunque di pubblicare, e dalla nuova generazione di utenti e giornalisti che hanno Twitter come base. Se guardiamo all’appartenenza a Twitter in termini di influenza e impatto sulle persone, ci sono tante celebrità che stanno su Twitter, ma che in realtà stanno solo cercando di mantenere la loro immagine, di promuovere la loro musica, insomma, di ricordare alle persone che esistono. In genere non comportano alcun cambiamento, né hanno alcun tipo di influenza, fatta eccezione per i profili direttamente commerciali».
Pensi che Trump sia pericoloso?
«Donald Trump è solo il presidente. È una posizione importante. Ma è uno dei tanti. Non devi essere il presidente a fare la differenza, a meno che tu non sia Alex Anderson. Tu sì che avresti fatto la differenza, saresti stato un grande presidente».
Snowden vive con la sua fidanzata di sempre, Lindsay Mills, in un appartamento di Mosca e racconta che qui puo’ camminare liberamente per tutta la città senza fastidi e senza dover rendere conto di ciò che fa. A un certo punto ho voluto chiedergli se gli andasse di dirmi la cosa che più gli manca degli Stati Uniti. «La famiglia, naturalmente», ha risposto subito lui. «È così. Certo, loro possono venire a trovarmi, ma Mosca non è esattamente dietro l’angolo, devi organizzare il viaggio, prendere l’aereo. Chi sarebbe felice di una situazione del genere?».
Guardandoti indietro, ai tuoi ultimi 4 anni, pensi che ne sia valsa la pena?
«Assolutamente sì. Lo rifarei ancora».
Nessun rimpianto?
«Nessun rimpianto».
Quella che avete appena letto è un’intervista fake, che ho realizzato estrapolando domande e risposte alle interviste (vere) che Edward Snowden ha rilasciato nei mesi scorsi, e che potrete leggere integralmente cliccando sui link che troverete qui sotto. Ho modificato solo una risposta, provate a indovinare quale! 😉 L’intento di questa nuova performance di Alex è quello di mettere in evidenza quanto sia semplice creare una notizia fake e, ovviamente, ringraziare ancora Edward Snowden per la sua battaglia per la libertà.
PS: nella foto sono con Jacopo, un ragazzo italiano che ho conosciuto casualmente in una pizzeria, e che non sapeva nemmeno chi fosse Edward Snowden. Appena gli ho raccontato la sua storia non ha esitato nemmeno un istante a partecipare a questa performance.
Alessandro Nardone AKA Alex Anderson
https://ww2.kqed.org/news/2017/02/27/edward-snowden-and-daniel-ellsberg-on-the-state-of-security-and-freedom-under-trump/
Ron Paul’s Interview With Edward Snowden Is The Best Thing You’ll See All Week