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Interviste

L’ascesa di Salvini e Di Maio, la caduta di Renzi, i «gemelli diversi» Trump e Berlusconi: intervista a Frank Underwood e Alex Anderson

Uno ci è già arrivato e l’altro no ma, nel 2020, entrambi vogliono conquistarla. La Casa Bianca, ovviamente. Parliamo di Frank Underwood e Alex Anderson, rispettivamente ex presidente degli USA ed ex sfidante di Donald Trump per la nomination repubblicana. Chi conosce le loro storie sa perfettamente che si tratta di due profili assai diversi, per non dire antitetici tra loro, tanto dal punto di vista politico quanto nei tratti caratteriali e financo nella carta d’identità: democratico, antipatico e veterano Underwood; repubblicano, carismatico e rampante Anderson. Sono state proprio queste differenze, unite al loro naturale distacco rispetto alle questioni di casa nostra, a farci ritenere che nessuno meglio di loro possa offrirci due chiavi di lettura differenti rispetto al quadro – intricatissimo – che è emerso dalle elezioni politiche di domenica scorsa. Così, dopo aver vinto le resistenze di un Underwood inizialmente restio all’idea di un’intervista congiunta con un avversario politico, siamo riusciti nel nostro intento.

Come certamente saprete, nonostante la massiccia affluenza alle urne, le elezioni non hanno determinato alcuna maggioranza in Parlamento. Cosa pensate del sistema politico italiano?

FU: «Devo ammettere che nemmeno io sarei stato capace di creare un sistema elettorale peggiore del vostro e onestamente mi aspettavo che Matteo Renzi fosse più furbo, mentre invece si è fatto fregare da Berlusconi, architettando con lui una legge elettorale gerrymandered (una tecnica di manipolazione dei collegi elettorali, ndr), un ibrido che ha fatto sì che i Dem finissero schiacciati nella morsa di destra e 5 stelle, peraltro nella consapevolezza che nessuna forza politica avrebbe ottenuto la maggioranza dei seggi. Una vera porcheria fatta apposta per creare caos, per questo mi piace.»

AA: «Purtroppo questo risultato lo vedo in linea con la vostra storia, infatti non è certamente un caso che dal dopoguerra a oggi in Italia si siano avvicendati ben 63 governi diversi. Ciò significa che il sistema creato come argine a nuove dittature, che poteva avere un senso 70 anni fa, oggi è diventato un grande limite, che non consente continuità di governo. Per come la vedo io, da ogni elezione dovrebbero uscire una maggioranza con i numeri per poter governare e un’opposizione capace di controllare l’operato del governo, che verrà poi sottoposto al giudizio popolare alle elezioni successive. Non mi pare così difficile.»

Preso atto dei numeri, pensate che sia possibile formare una maggioranza in Parlamento?

FU: «Ciò che in campagna elettorale viene dipinto come impossibile, in Parlamento diventa non soltanto possibile, ma perfino auspicabile. Pensate davvero che centinaia di parlamentari appena eletti, con al loro orizzonte la prospettiva di un mandato lungo 5 anni, siano disponibili a rinunciare così facilmente ai privilegi appena conquistati? Se ci credete davvero i casi sono due: o siete completamente ingenui oppure non capite nulla di politica.»

AA: «Stando ai valori in campo trovo che l’ipotesi di un governo composto dalla Lega e dai 5 Stelle non convenga a nessuno, soprattutto perché parliamo di due forze orgogliosamente populiste e che per questo finirebbero con l’annullarsi a vicenda. La verità è che dal punto di vista politico una grande coalizione converrebbe solo a PD e Forza Italia – in quanto un ritorno alle urne nel breve periodo li penalizzerebbe ulteriormente – peccato, però, che non abbiano i numeri. Per questo prevedo che nel 2019 tornerete a votare, mi auguro con una nuova legge elettorale.»

Cosa pensate della debacle di Renzi e delle affermazioni di Salvini e Di Maio?

FU: «Quando ero alla Casa Bianca ricevetti Renzi, che allora era Primo Ministro, e mi fece un’ottima impressione, dimostrò di meritarsi il mio personalissimo rating AA: Arroganza e Ambizione, che considero doti imprescindibili. Il suo problema è stato la comunicazione: se in occasione del referendum, anziché rivolgersi a quel perdente patentato di cui non ricordo nemmeno il nome, mi avesse chiesto una mano, gli avrei mandato gente di valore come Doug e Seth e ora staremmo raccontando un’altra storia. Quanto a Salvini e Di Maio, tra non molto getteranno la maschera: uomini come loro non si presentano a tavola senza appetito.»

AA: «Sono convinto che Renzi abbia inanellato una serie incredibile di epic fail: andare al governo senza essere passato dalle elezioni, fare del referendum costituzionale un referendum personale, dire che se avesse perso avrebbe lasciato la politica… per non parlare del suo atteggiamento arrogante, che ha dimostrato come abbia smarrito quella “connessione” con il popolo che gli consentì di imporsi come astro nascente della politica italiana. Peccato. Ecco, oggi pare che Salvini incarni l’archetipo del leader del popolo, ma non sottovaluterei Giorgia Meloni: considerata anche la giovane età spero che riesca nel suo intento e che possa diventare leader dell’area conservatrice. Da liberista, invece, trovo che il programma sostenuto da Luigi Di Maio rappresenti un pericolo per un paese come il vostro, che ritengo già fin troppo statalista.»

Impossibile non approfittare di due interlocutori del vostro calibro in merito ad un accostamento che fanno in molti: credete che Berlusconi e Trump si somiglino?

FU: «Si somigliano, per il semplice fatto che sono due imprenditori che hanno deciso di fare politica. Il loro peccato originale è che, provenendo dal mondo degli affari, non sono in grado di distinguere tra denaro e potere, che per loro sono la stessa cosa. Per me invece i soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni, mentre il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli. Non riesco a rispettare chi non vede questa differenza.»

AA: «Ognuno a suo modo, possiamo dire che sono entrambi geni della comunicazione; Berlusconi della tv e Trump – nonostante i suoi 70 anni – dei social media. Detto questo hanno storie apparentemente simili ma molto diverse, il primo è stato capace di creare in un mese la forza politica capace di vincere le elezioni, mentre il secondo ha sfruttato le divisioni interne al nostro partito (i repubblicani, ndr) per conquistare la nomination e battere il peggior candidato che i Dem potessero scegliersi. Potrei continuare constatando eufemisticamente che sono entrambi allergici alle critiche e al politically correct. Li definirei gemelli diversi.»

Un pregio e un difetto del presidente Trump.

FU: «Mi piace la sua spregiudicatezza, detesto il suo essere così smaccatamente kitsch. Più che il presidente americano sembra un petroliere russo smanioso di ostentare sfarzo e ricchezza per occultare ignoranza e radici modeste. Il dramma di tipi come questi è che possono anche arrivare alla Casa Bianca, ma nel loro ascensore sociale l’unico tasto disponibile è e sarà sempre il -2.»

AA: «Più di altri, Donald Trump è stato certamente capace di dare voce e rappresentanza a un popolo, questo è un fatto oggettivo che gli va riconosciuto. Il suo problema principale è quello di vivere in una realtà artefatta, nella quale lo Stato è la sua azienda, gli interlocutori politici i dipendenti da comandare a bacchetta, i giornalisti i suoi portavoce e gli americani i clienti da conquistare e fidelizzare quotidianamente. Qualcuno a lui vicino dovrebbe cambiare canale nella sua testa e spiegargli che il film è finito, sempre che l’altro canale esista.»

Le fake news sono un tema centrale nel dibattito internazionale, nel quale si discute con sempre maggiore insistenza del ruolo di media e social networks nell’influenzare il pensiero della gente. Che idea vi siete fatti a riguardo?

 FU: «Il punto è che il popolo vuole essere manipolato, e noi abbiamo il dovere di farlo. Vede, la maggior parte delle persone se ne frega di tutti i discorsi di cui abbiamo parlato fino ad ora, perché tutto quello che vuole è uno stipendio, una casa, fare sesso, guardare il Superbowl e poter crescere i propri figli. Il più delle volte soggioghiamo le masse limitandoci a manipolare l’informazione, mentre in altri casi dobbiamo agire concretamente: una guerra, un attentato, un omicidio di stato, una crisi economica… sono la benzina che ci serve per far ruggire il motore della propaganda.»

AA: «Onestamente, per la piega che ha preso, lo trovo un dibattito stucchevole. Chi afferma che i social siano la causa del vento populista o non capisce o è in malafede: alla base del malcontento ci sono i problemi reali della gente e gli errori delle classi politiche che li hanno creati, non Facebook o Twitter. Chiunque abbia un minimo di memoria storica, oltre che di onestà intellettuale, ammetterà che i social networks non sono altro che un nuovo strumento per esprimere le proprie opinioni: ieri ne parlavamo al bar, in piazza o in biblioteca e oggi le scriviamo sulla nostra bacheca o commentando il post di un nostro amico, ma il concetto è assolutamente identico. Non mi risulta che il dissenso sia un fenomeno nato con l’avvento del Web. Prima della Rivoluzione Digitale c’è stata la Rivoluzione Francese, se non erro.»

Visto che si tratta di un’intervista doppia, l’ultima domanda non poteva che essere questa: ognuno di voi dica qualcosa all’altro.

FU: «Il potere logora le persone come te e affina quelle come me.»

AA: «Segnati il mio numero, Frank, perché la notte del 3 novembre del 2020 ti toccherà farmi una telefonata…»

 

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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