New York – Cominciamo dalla fine: questa storia dovrebbe far riflettere chi crede che dovremmo rassegnarci placidamente a far cullare le nostre opinioni dagli algoritmi delle grandi compagnie del Web, poiché si tratta di un esempio lampante di come vengano utlizzati per manipolarci. Ma veniamo ai fatti. Due giorni fa il sito di Project Veritas – associazione che fa capo a James O’Keefe – ha pubblicato un video che riprende un’importante dirigente di Google, Jen Gennai, dire che «nel 2016 siamo stati tutti fottuti: noi, la gente, i giornali. Tutti fregati» e che, quindi, «stiamo lavorando sui nostri algoritmi per evitare che Trump possa essere confermato».
Ora, è evidente che trattandosi dell’odiato Trump praticamente nessuno si stia stracciando le vesti e che, al contrario, molti di quelli che tre anni fa persero la faccia perché spergiuravano che avrebbe vinto la Clinton, si staranno fregando le mani. Peccato che, pur di veder soccombere il loro acerrimo nemico, quello che loro considerano un errore della storia, non si rendono conto che stanno sostenendo quello stesso sistema che ha letteralmente demolito il mondo dell’editoria. Cioè il loro.
Chi di algoritmo ferisce di algoritmo perisce, verrebbe da dire.
«Altro che Putin, sono Google e Facebook a manipolare le elezioni», ha dichiarato Trump nel corso di un’intervista a Fox News, non escludendo che «gli Stati Uniti faranno loro causa». Se queste sono le premesse, chi pensava di aver già visto tutto con la campagna elettorale del 2016, dovrà presto ricredersi. Rock’n’roll!