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POLITICA USA

I dem e le primarie senza un vero leader

Il continuo alternarsi di vincitori e sconfitti in casa democratica è una routine che prosegue instancabile dal primo dibattito. Se un mese fa Beto O’Rourke sanciva il suo suicidio politico e Joe Biden affondava sotto i colpi di Kamala Harris, oggi possiamo essere sicuri che esiste un unico vincitore della due giorni: Bernie Sanders. Il vecchio socialista del Vermont ha condotto un dibattito volto all’attacco, inviando un messaggio molto chiaro ai suoi sfidanti in casa: la lotta per la nomination sarà più dura del previsto.

Nella prima serata Sanders e Warren sono stati, innegabilmente, di un livello superiore a tutti; i due colleghi non si sono mai attaccati e, quando necessario, si sono anche difesi a vicenda. La coppia di senatori si è apertamente sfidata con i moderati Bullock e Delaney, i quali, però, non hanno retto il confronto. Sanders è stato capace, a differenza della collega, di risvegliare il suo animo da combattente, incentrando i suoi interventi sull’assistenza sanitaria, sulle difficoltà finanziarie della classe media, passando dall’immigrazione alle armi, punto cruciale di ogni campagna presidenziale.

Nella seconda serata, tutti i candidati avevano lo stesso obiettivo: attaccare Joe Biden. L’ex vicepresidente era stato surclassato da Kamala Harris nel mese di giugno e aveva visto le sue chance di nomination crollare punto dopo punto nei sondaggi. Nella serata di ieri, non a caso, i vari candidati alla nomination hanno deciso di replicare la tattica della senatrice californiana ma senza fortuna. Biden si è fatto trovare pronto e preparato sia su ogni singolo attacco che gli è stato scagliato contro sia sulle domande che gli sono state rivolte. Già dalle dichiarazioni d’apertura, Biden era apparso più combattivo del solito mentre si rivolgeva a Donald Trump: “la vera America è su questo palco questa notte. Siamo qui e non intendiamo lasciarti in mano l’America”.

Se dunque, nella prima notte e in generale, Sanders è risultato il vero vincitore del dibattito, lo stesso non può dirsi per la seconda notte, dove non è apparso chiaro chi potesse seriamente impensierire Trump e, in generale, il front-runner Biden.

Un mese fa dissi chiaramente che il vero vincitore dei dibattiti in casa democratica era stato Donald Trump. Oggi mi sono chiesto se fosse ancora così. Sicuramente, ad un anno dalle presidenziali, sarebbe pura follia prevedere cosa accadrà, ma si può serenamente affermare che la lotta interna ai democratici aiuta più del previsto il Presidente.

Eppure, questa lotta è incompleta. Molti candidati cadranno prima delle primarie in Iowa, alcuni si ritireranno durante, altri invece cederanno il passo, magari appoggiando qualcuno dei the fab four, come mi piace chiamare i primi quattro in lotta per la nomination. Eppure in questa infinita lista di persone che si contenderà lo scettro di sfidante del POTUS, manca un nome. Chiunque, e questo lo insegna Trump, può pensare di diventare comandate in capo, ma nelle file democratiche, colui che, oggi, avrebbe potuto riunire le posizioni di tutti, è Sherrod Brown.

Il senatore dell’Ohio, nel marzo scorso, affermava che voleva “restare un semplice (si fa per dire, ndr) senatore”. È stato soprannominato come “l’unico democratico in America che non corre per diventare Presidente”. Durante le ultime elezioni che lo hanno visto trionfare nuovamente per il seggio in Senato, Brown raccontò un aneddoto su ciò che gli accadde durante un comizio a Zanesville. “A Zanesville, alcune persone non apprezzano le mie posizioni sulle armi o sul matrimonio fra persone dello stesso sesso e, in alcuni casi, perfino sui diritti civili. Però votano per me, perché combatto per loro sul posto di lavoro”. Queste poche parole bastano per raccontare tanto del senatore dell’Ohio, per far capire come avrebbe potuto dire la sua in questa lotta verso la Casa Bianca.

Brown ha anche affermato che ritiene Joe Biden il candidato più accreditato per la vittoria finale, nonché quello con più chance di ottenere la nomination.

Ciò che appare più chiaro, ad oggi, è che per quanto le primarie stiano dividendo l’elettorato democratico, il nominato potrà contare sull’appoggio di tutti, perché sconfiggere Donald Trump è più importante di una poltrona. I continui richiami all’unità, nonostante le divergenti opinioni politiche, potrebbero portare un sostegno decisivo per evitare possibili spaccature fra le diverse anime presenti nel partito. E forse, per questo, alla fine sarà Joe Biden a spuntarla. E se “SleepyJoe” come Trump ama chiamarlo, riuscirà a trovare il giusto equilibrio fra le sue posizioni centriste e quelle più a sinistra dei suoi colleghi, allora la sfida che tutti i sondaggi danno a favore dell’ex vice di Obama diventerebbe più interessante.

Lasciatemi dire, però, che se Sherrod Brown si fosse candidato, oltre ad impensierire tutti e ad essere (finalmente riconosciuto come) uno dei migliori candidati, avrebbe saputo svolgere questo ruolo di raccordo meglio di chiunque altro.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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