Caro Ministro Salvini, come potrà vedere lei stesso, noi di Orwell.live siamo naturalmente agli antipodi di pensiero unico e politicamente corretto, ma questo non significa che siamo catalogabili dal punto di vista politico. Molto semplicemente, quando sentiamo il bisogno di esprimere la nostra opinione lo facciamo senza remore e, al contempo, stando ben attenti a non spacciarla per notizia o verità assoluta. Non avessimo avuto quest’impostazione, ci saremmo senz’altro dovuti scegliere nome e sottotitolo differenti. Potrà quindi capitare che pubblicheremo – come peraltro è già successo – articoli per lei positivi, così come, quando e se lo riterremo, non lesineremo critiche al suo operato. La differenza, sostanziale, tra noi e molti altri media – ben più grandi di noi, almeno per ora – è che essendo liberi scriviamo indipendentemente da qualsivoglia fattore esterno alla nostra ragione e alla nostra identità.
È proprio in nome di quest’ultimo sostantivo che le scrivo, riferendomi, come avrà già intuito, alle immagini, anzi, all’immagine dell’Inno Nazionale suonato al Papeete: a differenza di altri ritengo fuorviante focalizzare l’attenzione sulla scena oggettivamente kitsch, o sui culi e sulle tette. Quelli lasciamoli da parte. A toccarmi, al punto da spingermi a scriverle una lettera aperta, è stato il suo atteggiamento di indifferenza alle note dell’Inno di Mameli.
Glielo dico perché ho sinceramente apprezzato la sua conversione al Tricolore, non lesinando elogi all’indubbia impresa in termini di marketing politico: prendere una Lega moribonda e decuplicarne i voti è indiscutibilmente una case study unica nel suo genere, quindi chapeau. Immagino anche il suo travaglio interiore, poiché comprendo che non sia assolutamente facile cambiare posizione dal punto di vista identitario, anche se questo è significato evolversi. Vivaddio siamo umani, e per noi le emozioni ancora contano qualcosa.
Motivo per cui allego una foto di sette anni fa: eravamo nella sede milanese della Lega Nord (a Palazzo Marino) per una conferenza stampa sulle elezioni regionali che si sarebbero tenute di lì a poco, e io mi presentai con una felpa dell’Italia. Lei non ebbe nulla da eccepire, ma di certo non ricordo che fece i salti di gioia. Oggi le cose sono cambiate e, mi creda, sono molto felice che qualche settimana fa anche lei abbia indossato una felpa simile.
Allo stesso tempo, però, mi è impossibile esimermi dal farle notare come questa sua nuova vocazione nazionale si scontri frontalmente con la sua indifferenza all’Inno; a maggior ragione adesso, nella sua doppia veste di leader del primo partito nonché di Ministro dell’Interno. Girando in lungo e in largo, sono sicuro che si sarà reso conto che, al di là dei numeri, ciò che più manca all’Italia è un minimo comune denominatore, cioè quell’insieme di valori da tutti riconosciuti e riconoscibili attorno ai quali edificare un paese in cui le differenze non debbano per forza tramutarsi in divisioni, come oggi, ahinoi, puntualmente avviene. Questione che possiamo tranquillamente traslare anche sull’Europa, che finché non si darà un’identità, continuerà a rimanere un carrozzone inviso alla maggioranza dei popoli di cui è composta, dai quali continuerà a essere percepita alla stregua di un corpo estraneo, e per giunta pure fastidioso e di facile “conquista” da parte di chi arriva da fuori.
Guardi signor Ministro, che non si tratta di una questione di poco conto, perché nel Tricolore e nelle note dell’Inno di Mameli si vedono e si sentono le ragazze e i ragazzi che tutti i giorni rischiano la loro vita per difendere la nostra, in Italia e in giro per il mondo; ci sono le storie dei nostri padri, dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, del sangue che hanno versato, di ogni angolo d’Italia che hanno costruito, di ogni tradizione che ci hanno tramandato; e ci sono quei valori che ognuno di noi sta passando come un testimone ai propri figli.
Non è certamente un caso che, fino alla fine dei cosiddetti “Anni di Piombo”, gran parte della sinistra considerasse il Tricolore e l’Inno Nazionale “roba da fascisti”. In questo senso, il Capo dello Stato a cui più dobbiamo essere grati è certamente Carlo Azeglio Ciampi, che si rese protagonista di iniziative importanti come il ripristino della parata militare in occasione della Festa della Repubblica.
Ora, visto che è già riuscito nell’impresa di “nazionalizzare” se stesso e la Lega facendone il primo partito, completi l’opera, dia l’esempio e sfrutti il suo “tocco magico” per ricostruire un’identità nazionale, partendo proprio dai simboli che la rappresentano. Sì, proprio lei che “ci è arrivato dopo” e che, forse anche per questo, avrà gioco più facile nell’affermare che senza un’Italia forte, noi italiani non adiamo da nessuna parte. Anche se arriviamo prima.