La storia degli ultimi 73 anni si fa strada tra le macerie di 65 governi, l’ultimo dei quali capitolato tre giorni fa a seguito dell’ennesima crisi deflagrata nell’essesima maggioranza composta da partiti costretti a stare insieme pur essendo completamente diversi. Lo sa bene il presidente Mattarella, che ieri sera ha concesso ai partiti quattro giorni di tempo prima di avviare un nuovo giro di consultazioni per capire se una qualsivoglia maggiornanza esista, o se sia necessario sciogliere anzitempo le camere e indire elezioni anticipate.
Ora, a prescindere dalle considerazioni su ciò che è stato, è drammaticamente oggettivo che qualsiasi nuovo governo, foss’anche frutto di elezioni, non sarebbe altro che quello prima del 67mo, per il semplice fatto che con il sistema attuale le uniche garanzie sono ingovernabilità e instabilità. A dirlo non sono io, ma i fatti: con una durata media di poco superiore a 400 giorni, è fisiologicamente impossibile che un esecutivo possa attuare un’azione non dico di lungo, ma quantomeno di medio termine.
Infatti – al contrario di quanto affermano molti, attribuendo la colpa a Web e social network – la politica italiana è da sempre imperniata sull’adozione di provvedimenti quasi mai risolutivi in termini concreti, ma spesso portatori di consenso nell’immediato. Basti pensare alle sciagurate politiche assistenzialistiche che solo Tangentopoli riuscì (in parte) ad arginare, e che hanno gonfiato a dismisura lo Stato trasformandolo in un pachiderma sia in termini di funzionalità che di costi, facendolo ovviamente gravare sulle spalle nostre e delle generazioni a venire.
D’altra parte, per quanto ci si ostini a decantare la nostra Costituzione come “la più bella del mondo”, prima o poi si dovranno pur smaltire i postumi della sbornia post-ideologica, prendendo finalmente atto che dal 1947 ad oggi non sono semplicemente cambiate tante cose ma il mondo intero, e nemmeno una volta sola.
Siamo infatti passati dalla rivoluzione cubana a quella digitale, dalla caduta del Muro di Berlino a quella delle Torri Gemelle, dal primo uomo sulla Luna all’intelligenza artificiale, dal cinematografo a Netflix, dalle lire ai bitcoin (passando per l’euro), dalle fabbriche ai coworking, dalle giovani famiglie agli influencer, dal Watergate alle fake news e chi più ne ha più ne metta.
Non credo di mancare di rispetto a chicchessia affermando che rispetto a 72 anni fa sono cambiate le esigenze, a cominciare da un elemento sopra tutti: la velocità. Viviamo nel tempo dell’istantaneità, in cui grazie al digitale ognuno di noi puo’ ricevere e inviare dati e informazioni in tempo reale superando, di fatto, i concetti di tempo e spazio: come possiamo pensare che esista una reale possibilità che un governo, di qualsiasi colore esso sia, possa approvare le riforme serie e strutturali che servono all’Italia dovendo operare all’interno di un sistema vecchio come il nostro?
Ergo, a prescindere da ciò che accadrà nelle prossime settimane, è quantomai necessaria la formazione di un Fronte Costituente trasversale composto, cioè, da donne e uomini provenienti da aree politiche differenti, ma unite dalla consapevolezza che senza riforme che consentano di superare l’attuale architettura istituzionale, l’Italia sarà destinata a rimanere un paese sostanzialmente ingovernabile e, di conseguenza, senza credibilità e prospettive.
Fronte che dovrebbe mobilitarsi per chiedere e ottenere l’Assemblea Costituente, che a tutti gli effetti è la via più democratica affinché possano finalmente essere scritte le nuove regole, senza i colpi di maggioranza e i teatrini a cui ci ha abituati il Parlamento.
Oltretutto ciò avverrebbe a seguito di una doppia mobilitazione popolare: la prima per raccogliere le 50mila firme necessarie per presentare la proposta di legge sull’Assemblea Costituente, e la seconda nella campagna elettorale, che coinvolgerebbe milioni di italiani sul tema delle riforme, una preziosa occasione per ricostruire il rapporto tra italiani e Istituzioni, da troppo tempo in balia di lacerazioni divenute ormai profondissime. D’altra parte, quella delle riforme è la strada obbligata per qualsiasi leader che sia sinceramente animato dalla volontà di cambiare le cose in meglio anche, perché no, lasciando il proprio segno su di un lavoro i cui effetti si perpetueranno nei decenni a venire in merito a tutte le grandi sfide che dobbiamo affrontare subito, nell’immediato, perché non aspettano le liturgie novecentesche a cui l’Italia continua a rimanere incatenata.
Un appello, questo mio di oggi, che rivolgo a chiunque abbia davvero a cuore il futuro dei nostri figli – a partire dagli attuali leader fino ad arrivare ai singoli cittadini di buona volontà – e che intendo chiudere con un dialogo di una scena del film “Leoni per agnelli”:
«Roma brucia, ragazzo. E il problema non è chi ci ha portati a questo, loro sono irrecuperabili, il problema siamo noi, tutti noi… che non facciamo niente, che ci trastulliamo, che manovriamo per stare ai margini delle fiamme, e ti dirò che ci sono persone là fuori che ogni giorno nel mondo lottano perché le cose migliorino.»
«Secondo lei è meglio provare e non riuscire che non riuscire a provare, giusto?»
«Sì.»
«Ma qual è la differenza se il risultato non cambia, prof?»
«Hai fatto qualcosa, almeno.»