Il nuovo Governo ha giurato solo giovedì nelle mani del Presidente Mattarella e sono bastate poche ore per vedere due personaggi politici, agli antipodi, entrare nell’occhio del ciclone dei social. Si tratta di Teresa Bellanova, neo ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali e di Matteo Salvini, leader della Lega ed ex Ministro dell’interno.
Iniziamo dalla neo-ministro. Le critiche mosse sono state sostanzialmente due: la prima riguarda il come era vestita ieri al Quirinale; la seconda riguarda il suo titolo di studi (terza media). La Bellanova è stata bersagliata dalla pesante ironia dei suoi detrattori perché si è presentata al Quirinale con un abito blu “in organza e chiffon con piccole balze” che le è valso l’appellativo poco educato di “balena blu” (con riferimento evidente alla sua taglia).
Dopo anni di sfilate al Palazzo del Quirinale e di “sgarbi istituzionali” alla prassi che vuole il nero, il blu scuro o il marrone per il giorno del giuramento dei ministri, è ancora possibile, oggi, criticare una donna ministro per la scelta di un abito? Dava nell’occhio? Possibile, ma si può criticare civilmente, senza ricorrere a insulti. Si può criticare l’operato di un politico, non come veste, non per il fisico, non per un colore sbagliato.
Più importante, però, è la critica mossa al titolo di studi dell’attuale inquilina di via XX Settembre. Perché si può discutere sull’abito ma non su quanto i social le hanno sputato contro infischiandosene della sua storia. La Bellanova avrà anche soltanto la terza media, ma a 14 anni faceva la bracciante in una delle “capitali del caporalato” in Puglia. Se esiste un Ministro in questo Governo che potrebbe difendere i lavoratori più umiliati, dunque, è proprio lei.
Le idee politiche possono anche essere differenti ma le ragioni per cui viene criticata la Bellanova sono quelle per cui, in realtà, merita più rispetto.
Molto più grave, però, quanto accaduto venerdì sera. In diretta su la7, Matteo Salvini, rivela il contenuto di un post del giornalista di Radio Rai, Fabio Sanfilippo, che – sul suo profilo Facebook – aveva appena auspicato il suo suicidio («tempo sei mesi e ti spari, nemico mio»). Non solo, ma lo ha anche accusato di aver “plagiato” i suoi nipoti, tirando infine in ballo la figlia del senatore (di 6 anni) augurandosi che «la piccola sia seguita da persone qualificate, per potersi riprendere».
C’è da rabbrividire all’idea che si possa augurare la morte a un proprio simile, a prescindere dalla ragione insostenibile che spinge a farlo. La lotta politica ci insegna che è normale avere idee diverse, ma è proprio la diversità di idee che dovrebbe spingerci a combattere le persone sul piano ideologico e non personale.
La vergogna, in questi casi, non è mai troppa: come uomini, innanzitutto. Soprattuto dopo le “giustificazioni” del giornalista Rai. Sanfilippo ha, infatti, detto che riscriverebbe il post, ma senza citare la figlia dell’ex Ministro e ha “spiegato” che l’invito a suicidarsi era «prettamente politico».
Credenti e non credenti sanno, ognuno secondo la sua formazione personale, che esiste il libero arbitrio. Lo stesso che ha spinto i nipoti del giornalista in questione a votare coscientemente per la Lega alle ultime elezioni o, più semplicemente, a sostenere le idee politiche del leader della Lega.
Non confondiamoci, però, augurare la morte e appoggiare un partito politico non sono equiparabili sul piano del “libero arbitrio”: delle due solo la seconda è da considerarsi tale. Nel primo caso è solo scelleratezza o violenza gratuita.
L’ultima considerazione riguarda proprio la figlia del senatore Salvini. Un giorno, anche lei, grazie al libero arbitrio, saprà scegliere da sola se appoggiare o meno le idee del padre. Non oggi, però, che ha solo sei anni, età in cui, fortunatamente, la sua innocenza supera la nostra ignoranza.