Ieri pomeriggio la notizia della cancellazione di decine di pagine e profili riconducibili al movimento politico CasaPound ha subito fatto il giro del Web, scatenando la solita ridda di dichiarazioni di parte e – ahinoi – stimolando pochissime riflessioni sul tema della censura e della libertà di espressione, principi che dovrebbero essere difesi “a prescindere”, ma che invece gran parte della gauche nostrana continua a trattare con ottusa partigianeria.
Boldrini esulta, affermando che la cancellazione dei profili sarebbe «un altro passo verso l’archiviazione della stagione dell’odio organizzato sui social network», mentre sul fronte opposto Simone Di Stefano la definisce «un abuso, commesso da una multinazionale privata in spregio alla legge italiana. Uno sputo in faccia alla democrazia.»
Dal canto suo, Facebook risponde attraverso una nota in cui afferma che «le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia. Gli account che abbiamo rimosso oggi violano questa policy e non potranno più essere presenti su Facebook o Instagram. Abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose, che vieta a coloro che sono impegnati nell’odio organizzato di utilizzare i nostri servizi.»
La questione, però, è molto più profonda e, indipendentemente da come la si pensi, deve portare ad una più ampia riflessione sul tema, partendo da due considerazioni di merito: la prima è che 24 milioni di italiani sono iscritti al social network di Mark Zuckerberg, e la seconda consiste nell’assoluta arbitrarietà di chi decide cosa è “pericoloso” e perché, dal momento che fino a prova contraria CasaPound non è mai stata messa fuori legge. Al momento, l’unico criterio che balza all’occhio è l’estrazione politica dei profili oscurati, tutti riconducibili all’area della destra radicale e dei movimenti populisti e sovranisti.
Criterio che sembra esattamente lo stesso applicato oltreoceano anche da Twitter, mettendo in atto un’attività di censura così stringente da provocare la reazione del presidente Trump che, dopo essere intervenuto a gamba tesa con diversi tweet, pare essere deciso di passare dalle parole ai fatti.
In questo tweet del 4 maggio scorso l’inquilino della Casa Bianca avvisava che «continuo a monitorare la censura di CITTADINI AMERICANI dalle piattaforme social. Questi sono gli Stati Uniti d’America, e abbiamo qualcosa che è conosciuta come LIBERTÀ DI PAROLA! Stiamo monitorando e osservando, da vicino!». Stando a quanto anticipato da Politico, pare che Trump stia lavorando a un ordine esecutivo che avrà lo scopo di proteggere gli utenti di Internet da quelle che egli ritiene azioni pro-democratici e anti-conservatori messe in atto da parte delle piattaforme di social media.
L’ordine esecutivo del presidente Trump cercherebbe di raggiungere l’obiettivo limitando formalmente le protezioni offerte alle società ai sensi della Sezione 230 del Communications Decency Act e assegnando a Federal Trade Commission (FTC) e Federal Communications Commission (FCC) il compito di controllare i meccanismi di censura adottati dai social media.
In particolare, Trump vuole che FCC e FTC lo aiutino a esaminare i casi di pregiudizio anti-conservatore perpetrati da piattaforme come Facebook e Twitter. Alla FCC sarebbe richiesto di creare regolamenti progettati per limitare la capacità delle piattaforme di rimuovere i contenuti, mentre l’FTC dovrebbe tenere un registro in cui raccogliere le denunce di censure derivanti da presunti pregiudizi politici, valutarli, individuare eventuali casi di effettiva censura e quindi perseguirli.
I presupposti sono quelli di uno scontro durissimo, che ha certamente origine dai successi di Brexit e Trump e che, dopo il fallimento del Russiagate negli USA, evidenzia una stretta che travalica i confini nazionali facendosi globale: grandi multinazionali che decidono chi ha diritto di parola e chi invece no, le idee che possono essere espresse e quelle da cancellare.
Comunque la si pensi, di democratico c’è davvero ben poco.