Il diciottesimo anniversario dell’11 settembre porta in dote molte certezze: il mandante dell’attacco, i nomi dei 19 terroristi coinvolti e, purtroppo, il numero delle vittime innocenti, poco meno di 3.000.
Eppure, a distanza di anni, ancora resiste e soffia insistente il venticello animato dai “cospirazionisti”. Quelli, per capirci, non convinti della versione ufficiale rilasciata dalle autorità.
Soprattutto quella emersa nelle oltre 500 pagine della relazione confezionata dalla “9/11 Commission”, che alimentò già all’epoca (ma alimenta tuttora) qualche dubbio.
A erigere una barriera contro le tesi complottiste arriva, quasi inaspettatamente, la voce dello smascheratore di complotti per antonomasia, Julian Assange.
Nonostante i due saggi, “State and Terrorist Conspiracies” e “Conspiracy as Governance”,1 in cui il capo di Wikileaks spiega la centralità “della teoria del complotto” nelle strategie messe in atto dalle elite governative per mantenere il potere,2 sugli attentati orchestrati da al Qaeda, invece, mantiene una posizione piuttosto netta: «Sono costantemente infastidito dal fatto che tanta gente venga distratta da false teorie cospiratorie circa l’11 settembre quando noi continuiamo a dimostrare vere cospirazioni atte a fare delle guerre o a ordire immense frodi finanziarie».3
Dichiarazioni, però, inconciliabili con le principali teorie “negazioniste” che continuano, indisturbate, a girare in rete.
La principale, una sorta di evergreen, riguarda il complotto giudaico.
Si tratta di un’idea molto in voga negli ambienti islamici più radicali, rilanciata da una televisione libanese vicina agli Hezbollah (al-Manar, ndr) convinta che, il giorno degli attacchi, 4mila cittadini di origine ebraica preallertati dal Mossad, avessero preferito l’accogliente tepore della propria casa, evitandosi così il disturbo di una giornata lavorativa negli uffici del World Trade Center.
Una sorta di flash mob al contrario, innescato da Israele in collaborazione con gli americani, per iniziare un conflitto contro il mondo arabo.4
Sono milioni, invece, le pagine internet di aficionados pronte a supportare sia la strada della “macchinazione interna”, sia quella della “macchinazione esterna”.
La prima teoria è incardinata sulla certezza di una regia occulta, organizzata da alcuni influenti membri dell’Amministrazione Bush, al fine di trovare un pretesto per scatenare la guerra contro il terrorismo internazionale.
La seconda, certamente più ardita, basa la propria “fondatezza” sulla suggestione derivata dal (volontario) mancato intervento da parte della Cia. Circostanza, quest’ultima, che avrebbe permesso agli attentatori di agire indisturbati creando i presupposti per un successivo intervento in Afghanistan e Iraq.
Sulle balle raccontate dal governo americano (indimenticabile la figuraccia dell’allora segretario di Stato americano, Colin Powell, che presentò alla comunità internazionale le “prove” sull’esistenza delle armi di distruzioni di massa) e sulle vere motivazioni che spinsero gli Stati Uniti alla guerra, non ci sono più fraintendimenti.
Unendo tra loro i tasselli a nostra disposizione è possibile tracciare con relativa facilità i motivi che hanno generato il clamoroso fiasco dell’Intelligence americana.
Fallimento certificato coram populo dalla voluminosa relazione della “Joint Inquiry”, in cui emergono, senza possibilità di essere smentite, l’impreparazione e le lacune dei servizi di sicurezza americani, la disorganizzazione, l’inadeguatezza tecnologica, la scarsa attenzione alle note ricevute dalle proprie fonti, l’incapacità degli analisti di avvertire il pericolo e la mancanza di coordinamento tra istituzioni.
Si tratta, comunque, di evidenze insufficienti a giustificare un gigantesco complotto.
Una cospirazione, è giusto ricordarlo, incapace dopo diciotto anni di produrre una sola “soffiata”, magari legata al semplice rimorso verso le migliaia d’innocenti che hanno perso la vita negli attentati. Nulla di nulla.
Tra le ipotesi fantasiose che gravitano intorno agli attacchi dell’11 settembre, non possono mancare quelle accreditate dagli amanti della fantascienza.
Qui, però, le congetture si fanno più temerarie. Spaziano, senza imbarazzo, dai “raggi energetici” sparati da fonte ignota, fino agli effetti speciali di stampo cinematografico con gli aerei che sarebbero stati inseriti in fase di post-produzione …5
E, a proposito di settima arte (e intellettuali), molti sono i registi e le sceneggiature che, a vario titolo, hanno trattato l’argomento.
Parliamo di cineasti del calibro di Michael Moore, Paul Greengrass, Oliver Stone, Kathryn Bigelow, Alejandro Gonzales Inarritu e Oscar Danis Tanovic (questi ultimi curatori di un delizioso lungometraggio intitolato “11 settembre 2001” composto di 11 episodi, diretti da colleghi prestigiosi, e tutti della durata simbolica di 11 minuti e 9 secondi).
La parte del leone è interpretata, ovviamente, da “Fahrenheit 9/11” il docu-film di Michael Moore vincitore della “Palma d’oro”, a Cannes, nel 2004.
Anzi, il blockbuster di Moore, certo che “Bush abbia approfittato della situazione per limitare le libertà dei cittadini statunitensi, usando il terrorismo come scusante per mettere in atto ferree e inutili politiche di controllo”,6 è diventato, con il meno celebre “Zeitgeist: the Movie” (diretto, prodotto e distribuito, nel 2007, solo per la rete da Peter Joseph), la Bibbia laica dei “cospirazionisti”.
Tra gli infiniti postulati confezionati dagli intellettuali, il più curioso, forse, riguarda Gore Vidal. Il famoso scrittore-saggista, infatti, avanzò una teoria quasi lombrosiana, secondo cui la scelta di Osama bin Laden, quale nemico principale degli Stati Uniti, andava ricercata principalmente in un fattore estetico. Anche in questo caso, una banale scusa formulata per legittimare l’invasione dell’Afghanistan predisposta da tempo. 7
Al di là delle illazioni più fantasiose e delle immagini catastrofiche che hanno accompagnato quasi un ventennio del nuovo secolo, tante domande restano ancora senza una risposta convincente.
E, se le responsabilità attribuite a Bush sono state certificate senza sconti dalla storia, lo stesso non si può dire dell’operato dell’Amministrazione precedente.
Non basteranno certo le dichiarazioni autoassolutorie 8 di Madeleine Albright, segretario di Stato durante il secondo mandato del presidente Clinton, a giustificare la lentezza e gli insuccessi nei confronti del terrorismo da parte dell’Amministrazione di cui ha fatto parte.
Già nel 1993, infatti, il World Trade Center fu “protagonista” di un attentato organizzato da terroristi islamici. L’intenzione degli attentatori era di far esplodere un’autobomba collocata nei sotterranei della Torre Nord imbottita di nitrato di urea, allo scopo di far crollare anche la Torre Sud.
Fortunatamente, per quanto ingenti, i danni furono più contenuti del previsto: sei morti e diverse centinaia di feriti.
L’Intelligence, allora, non parlava ancora di al-Qaeda, ma solo di un ristretto gruppo di fondamentalisti.
Alcuni scampati agli arresti del primo attentato al Wtc pianificarono, poco tempo dopo, un’azione più vasta, conosciuta col nome di “Operazione Bojinka”.
Obiettivi dell’azione: Papa Giovanni Paolo II, una decina di aerei da far esplodere dopo aver nascosto al loro interno bombe alla nitroglicerina e un attentato “kamikaze” contro la sede della Cia in Virginia.
In alcuni passaggi assomiglia a uno schizzo su carta millimetrata, ancora impreciso nei tratti, eppure riconoscibile, del piano devastante progettato pochi anni dopo dallo “Sceicco del terrore”.
Alla luce di questi pericoli (parzialmente neutralizzati, peraltro con una discreta dose di buona sorte), Clinton, su consiglio della Cia, decise di catturare Bin Laden.
Progetto naufragato, nell’estate del ’98, a seguito degli attentati che disintegrarono le ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam.
A nulla valse anche il successivo, tardivo, tentativo di uccidere il capo di al Qaeda con un missile Cruise.
È possibile spiegare quanto accaduto l’11 settembre 2001 attribuendo la colpa unicamente all’approssimazione e alla sciatteria di due Amministrazioni come emerso dalla “Joint Inquiry”?
Perché fu sottovalutata la nota dell’agente Fbi, Ken Williams, inoltrata nel luglio del 2001, in cui segnalava la partecipazione di uomini di al-Qaeda ai corsi organizzati da alcune scuole volo americane?9
Certo, “col senno di poi”, come suggerisce Andrea Ferrero nel documentatissimo libro “11/9 La cospirazione impossibile”, a cura di Massimo Polidoro, tutto appare più semplice e leggibile, ma non così tanto, aggiungiamo noi, da cancellare ogni perplessità.
Titubanza incrementata anche dalle numerose contraddizioni in cui è incappato il “Nist” (National Institute for Standards and Technologies), l’ente incaricato dal governo americano per verificare la causa dei crolli al World Trade Center.
Soprattutto, quello relativo al WTC-7, la semi-sconosciuta terza torre, crollata poco dopo le 17 dell’11 settembre 2001.
A confutare le tesi ufficiali scaturite dal “9-11 Commission Report” e dalle relazioni del Nist, con acume e sinistra preveggenza, è rimasto, praticamente isolato, Giulietto Chiesa, uno dei detrattori più attendibili che ancora oggi si contrappongono, carte alla mano, alla dogmatica vulgata mainstream.10
In conclusione, non entreremo nel merito di altre questioni rimaste in sospeso.
Non chiederemo, per esempio, il vero motivo della corsa sfrenata alla pulizia di Ground Zero, orchestrata dal sindaco di New York Rudolph Giuliani in sinergia con le autorità 11; non chiederemo perché, due ore dopo l’impatto dell’American Airlines 77, siano sparite le immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza del Pentagono (nella primavera del 2017 l’Fbi rese pubbliche, però, delle immagini inedite dell’attentato 12); non chiederemo perché i passaporti di alcuni degli attentatori siano stati ritrovati tra le macerie assolutamente intatti.
Non chiederemo nulla di tutto ciò. Perché, al lettore, e a lui soltanto, spetta eventualmente il compito di approfondire i temi esposti, con l’accortezza di non confondere eventuali enigmi ancora insoluti con le leggende metropolitane.
Uno sgarbo immeritato per una sciagura di queste dimensioni.