Fareste leggere il vostro WhatsApp a parenti e amici? Pubblichereste la cronologia del browser? L’estratto conto? E le email che non avete mai fatto leggere a nessuno? Evidentemente no, ma in Italia della privacy non importa niente a nessuno. Dobbiamo dirlo chiaro e tondo, perché altrimenti tanta indifferenza riguardo alle rivelazioni di Edward Snowden non si spiegherebbe. Dal 2013 a oggi ho raccontato la sua storia a migliaia di persone di tutte le età in decine di incontri pubblici, e ogni volta, alla domanda su chi lo conoscesse, a rispondere affermativamente è stata solo una sparuta minoranza.
Eppure, questo giovane uomo ha sacrificato la propria libertà personale per dimostrarci come la nostra, di libertà, sia stata ridotta a una sorta di illusione ottica, perché c’è qualcuno che ci spia 24 ore al giorno e ha il potere, non soltanto di ascoltare le nostre conversazioni e di leggere ciò che scriviamo, ma anche di entrare in ogni nostro dispositivo e di spiarci attraverso la fotocamera e di rovistare tra i nostri file «che significa che se voi state leggendo queste parole su qualunque tipo di apparecchio moderno, come uno smartphone o un tablet, loro possono leggervi a loro volta. Possono vedere con quanta rapidità girate le pagine, se leggete i capitoli in sequenza o soltanto da un punto all’altro. E saranno ben contenti di guardare le vostre labbra che si muovono durante la lettura, fintanto che questo dà le informazioni che desiderano e che permettono di identificarvi.»
Sbaglia di grosso chi fa spallucce dicendo di non avere nulla da nascondere perché, come controbatte giustamente Snowden «sarebbe come dire che rinunciamo al diritto di parola perché non abbiamo nulla da dire.»
L’ultimo capitolo della battaglia di Snowden, che oggi è costretto a vivere in Russia, è Errore di Sistema, il libro in cui ripercorre ogni passo della propria esistenza: dalle prime mosse della rivoluzione digitale, fino alla decisione di divulgare oltre 13mila documenti top-secret della National Security Agency (Nsa), dove all’epoca prestava servizio in qualità di tecnico informatico esterno. Libro che nella versione originale s’intitola Permanent Record, ovvero traccia permanente, perché, come spiega lo stesso autore «siamo i primi ai quali viene conferita immortalità grazie ai dati, al fatto che le nostre tracce possono essere permanenti. Proprio per questo abbiamo una missione speciale: dobbiamo assicurare che queste tracce del nostro passato non possano ritorcersi contro di noi, o contro i nostri figli.»
Siamo tutti intercettati
Edward Snowden serviva convintamente lo Stato, ma quando scoprì che la Nsa ci stava spiando tutti senza chiedere alcun mandato e contravvenendo non soltanto alla Costituzione americana, ma anche i diritti fondamentali riconosciuti dalle Nazioni Unite, ha cominciato a vivere un dolorosissimo conflitto interiore, che lo spingeva ogni santo giorno a domandarsi «dove ci avrebbero condotto quelle nuove tecnologie» e, di conseguenza, a prendere atto che «se la nostra generazione non fosse intervenuta, quell’escalation non avrebbe avuto fine. Sarebbe stata una tragedia se, una volta che ci fossimo decisi a resistere, avessimo capito che era ormai inutile.»
Il paradosso di strumenti che ci fanno sentire liberi come non lo siamo mai stati prima ma che, al contempo, ci rendono controllati come mai fino ad ora, sarebbe stato ben più grave senza la consapevolezza che abbiamo acquisito grazie al sacrificio di Snowden, poiché «le generazioni future si sarebbero ben presto abituate all’idea di una sorveglianza costante e indiscriminata: orecchie che sentono tutto, occhi che vedono tutto, memoria vigile e permanente.»
Siamo tutti potenziali criminali
Pazienza se poi, come dicevamo all’inizio, la stragrande maggioranza degli umani connessi si sia comunque assuefatta a questo sistema, nel quale «una volta raccolti i dati e archiviati in modo permanente, un governo avrebbe potuto rendere qualsiasi persona un capro espiatorio: gli sarebbe bastato selezionarla e cercare fra i suoi dati la prova del reato più conveniente.»
Che, piaccia o no, è esattamente ciò che avviene ora, in un modello di società che è stato strutturato per controllare qualsiasi nostra azione, servendosi di quelli che sono i due atteggiamenti più diffusi: le persone che si disinteressano completamente della propria privacy, e che quindi danno in pasto alla rete qualsiasi cosa li riguardi senza pensarci; e la minoranza che invece è sensibile al problema e che, sentendosi controllata, limita i propri comportamenti magari evitando di dire alcune cose o di esternare le proprie idee per paura di doverne pagare le conseguenze.
In questo quadro, fa giustamente notare Snowden che siamo tutti potenzialmente colpevoli di qualcosa, e quindi, in qualsiasi momento, “accusabili”: «la maggior parte delle nostre vite, anche se non ce ne rendiamo conto, non si svolge in un’area bianca o nera, ma in un’area grigia, in cui attraversiamo la strada fuori dalle strisce, gettiamo i rifiuti secchi nel cassonetto dell’umido e viceversa, andiamo in bicicletta nella corsia delle auto, e ci colleghiamo al WI-FI di un estraneo per scaricare un libro che non intendiamo pagare. Detto in modo semplice: un mondo in cui si facesse rispettare ogni legge sarebbe un mondo in cui tutti sono criminali.»
Un sistema architettato perché controllo fa rima con potere, indipendentemente dagli effetti collaterali, in quanto risulta evidentissimo che «ciò che è devastante per la massa spesso è vantaggioso per l’élite.»
Il libro in numeri
Molto interessante, oltre che indicativo, è analizzare le 347 pagine di Errore di sistema attraverso i numeri, stilando una classifica delle parole più utilizzate. In cima alla lista c’è l’acronimo Nsa, ripetuto 150 volte, subito dietro, con 136 ripetizioni troviamo la parola dati, mentre a 129 sul terzo gradino del podio c’è computer. Al quarto posto troviamo internet con 101, e poi sorveglianza con 93. Se fino a qui è tutto nella norma, nota a parte merita Lindsay, che è il nome della compagna di Snowden, che tra le righe del libro le tributa amore e dispiacere per ciò che l’ha costretta a subire nominandola ben 91 volte. Beffardo il caso di libertà e potere, appaiate a quota 44 ripetizioni, poi privacy con 33 e la data dell’11 settembre, che l’autore ha ripetuto per 25 volte, a dimostrazione della centralità di quel giorno nell’attuazione del sistema di sorveglianza di massa di cui oggi siamo tutti a conoscenza.
Ebbene, se è partito un dibattito che ha spinto i governi di tutto il mondo e le BigWeb Companies ad affrontare seriamente il tema della privacy; se l’allora presidente Obama si è visto costretto a estenderne il diritto ai paesi alleati; se oggi anche i dati di coloro a cui non importa nulla sono un po’ più sicuri, be’, dobbiamo dire grazie a Edward Snowden, che poco più di 6 anni fa rinunciò a tutto senza chiedere nulla in cambio.