Stallone lo deve anzitutto a se stesso: la saga di Rocky non può finire con uno spin-off come Creed II. Questo pensiero mi frulla in testa da qualche mese ma, dopo aver visto il quinto capitolo di Rambo, non ho potuto fare a meno di metterlo per iscritto, perché nella vita tutto passa, e a un certo punto dobbiamo unire i puntini sciogliendo i nodi che abbiamo lasciato in sospeso; e per Sylvester Stallone il finale di Rocky lo è ancora. Lo si percepisce dalle sue dichiarazioni dei mesi scorsi, che l’unico freno alla realizzazione dell’ultimo episodio è «la paura che non sia un successo», ma vivaddio, alla sua età e dopo una carriera simile, Sly può tranquillamente permettersi il lusso di fare ciò che gli piace, senza dover dimostrare nulla a nessuno.
E allora, ecco qual è l’unico gran finale possibile che immagino per l’uscita di scena di Rocky. Prima, però, due premesse: la prima è che sono un vero fanatico di Rocky, e la seconda è che scrivere è parte del mio lavoro, e che anch’io – nel mio piccolo – diedi vita a uno dei miei personaggi, quindi posso capire cosa significhi, nella testa e nel cuore, rassegnarsi all’idea di mettere fine alla storia del proprio alter ego. Perché dal momento in cui lo crei, continua a pulsarti dentro, a essere parte di te. A maggior ragione, presumo, se ha caratterizzato la tua carriera per 43 anni entrando nell’immaginario di milioni di persone in tutto il mondo.
Ma ora veniamo alla storia. Personalmente credo che Stallone dovrebbe osare parecchio, portando nelle sale una pellicola veramente spiazzante, i cui protagonisti siano essenzialmente due: lui e Rocky. Sì, avete capito bene, se potessi scrivere il copione dell’ultimo capitolo della saga dello Stallone Italiano, lavorerei sull’idea di farlo incontrare con la persona che nel 1976 gli diede vita, scrivendo la sceneggiatura di un film divenuto mito.
Perché forse non tutti lo sanno, ma la storia nella storia ha davvero del sensazionale: Stallone non se la passava per niente bene, al punto che fu costretto a vendere il proprio cane (quello che vedete nel film, Birillo) perché non aveva il becco d’un quattrino per dargli da mangiare finché, dopo aver assistito all’epico match tra Muhammad Ali e il semi-sconosciuto Chuck Wepner (che resistette per tutte le 15 riprese), si rinchiuse in casa per tre giorni e partorì la prima bozza dello script di Rocky.
Se a tutto questo aggiungete che i produttori interessati al copione non volevano farlo interpretare a Stallone e che, una volta convinti, destinarono al film un budget ridicolo, ecco che emergono le ragioni per cui quella tra Stallone e Rocky non è una semplice storia tra autore e personaggio di fantasia, ma l’archetipo dell’uomo che travalica i confini della propria immaginazione trasponendo se stesso in un personaggio cinematografico capace come nessun altro di entrare nel pantheon iconografico di almeno tre generazioni in tutto il mondo, dal ’76 a oggi. Decisamente magnifico.
Per questo Stallone deve fare un favore a se stesso, oltre che a tutti noi, facendosi restituire da Rocky, davanti alle telecamere, la staffetta che egli stesso gli passò 43 anni fa scrivendo quella sceneggiatura.
Anche perché noi, la campana ancora non l’abbiamo sentita.