Non si può certo parlare di crisi, ma qualche segnale negativo c’è per il colosso di Mountain View. Nonostante i ricavi siano cresciuti del 20% rispetto allo scorso anno, l’ultimo trimestre si è chiuso con un calo degli utili netti pari a 7.068 miliardi di dollari.
Nelle settimane passate abbiamo dato conto ai lettori dei casi giudiziari in cui Google è coinvolto, a Londra (dove sono a rischio 3,6 miliardi di dollari) e in Australia, dove l’antitrust ha citato in giudizio la società americana davanti alla Corte federale.
Ufficialmente, però, le cause della perdita vengono ricondotte alle ingenti spese (produttive e improduttive) che gravano sul bilancio del gruppo e che, rispetto al 2018, sono salite del 25%.
In primis ci sono gli investimenti in ricerca e sviluppo per potenziare non solo i servizi per gli utenti, ma soprattutto nel quantum computing (la nuova frontiera nel il trattamento e nella elaborazione delle informazioni).
Alcune perdite, poi, sono dovute anche a partecipazioni in società come Uber che ha avuto un clamoroso tracollo. Fra gli esborsi di denaro più corposi, ci sono, invece, le multe inflitte da vari governi, come quello francese, per tasse non pagate, per un ammontare complessivo di 554 milioni di dollari.
Dopo la notizia del calo degli utili, le azioni del colosso a Wall Street sono calate fino al 4%, per, poi, attestarsi al meno 2%.
Intanto, Sundard Pichai, amministratore delegato di Google, ha dichiarato di sentirsi «soddisfatto dei miglioramenti fatti» e di essere concentrato sul potenziamento dei servizi per gli utenti. Contento lui. Non lo sono altrettanto gli azionisti ma anche sempre più fruitori che si sentono spiati, controllati e “venduti” come merce.