In passato espressi pubblicamente il mio apprezzamento per l’attività che Carlo Calenda svolse per le startup, quando era titolare del Ministero dello Sviluppo economico e, circa un anno fa, durante un’intervista dissi esplicitamente che mi piaceva il suo modo di comunicare attraverso Twitter. Lo dico per sgombrare subito il campo dalle polemicucce politiche di piccolo cabotaggio, che su questo giornale non trovano spazio. Infatti, la critica che sto per muovergli è tutta nel merito, e riguarda nome e motto che l’ex Svolta Civica, ex Pd, ed ex Siamo Europei ha scelto per il suo nuovo soggetto politico.
Ora, se non ricordo male qualche giorno fa Calenda si vantò di non affidarsi a professionisti della comunicazione: intendiamoci, ognuno è libero di vantarsi di ciò che meglio crede, però un’affermazione del genere potrei aspettarmela da altri, non certo da chi ad ogni occasione batte sul chiodo della competenza. Possiamo dire, usando un eufemismo, che è quantomeno incoerente? Diciamolo.
Oltre all’incoerenza, si vedono anche i risultati, perché qualsiasi addetto alla comunicazione, anche il più scarso, avrebbe immediatamente eliminato quel nome dalla rosa di opzioni tra cui scegliere. Parliamo di Azione e del relativo slogan che Calenda ha immediatamente rilanciato sui social: Entra in Azione.
Qui siamo di fronte ad almeno 3 errori marchiani:
Il primo è che Azione Giovani è stato il nome del movimento giovanile di Alleanza Nazionale, nato nel ’96 al congresso di Rieti raccogliendo l’esperienza (e il simbolo) del Fronte della Gioventù.
Il secondo è che Entra in Azione non soltanto è stato lo slogan principale di quel movimento, ma nel 2004 divenne anche un think tank nato a sostegno della candidatura di Giorgia Meloni alla carica di presidente nazionale di Azione Giovani. Si dà il caso che fu proprio il sottoscritto, insieme ad amici come Simone Torello, Luca De Stefani, Paolo Di Caro e altri in tutta Italia a dargli vita, creando perfino una rivista e il sito web che potete vedere voi stessi nella foto e cliccando qui.
A fronte dei primi due, il terzo suona addirittura come una beffa: mi riferisco alla freccia che i grafici hanno inserito nel simbolo, peraltro scimmiottando quello della Clinton nel 2016. Indovinate un po’ dove punta? A destra, ovviamente! Chiunque si occupi di marketing politico con un minimo di costrutto non avrebbe mai nemmeno pensato a una scelta simile, cioè quella di copiare due volte, e pure male. Tanto più che all’epoca Hillary fu aspramente criticata per quella freccia che puntava a destra.
Ultima considerazione, che va ben al di là di quelle relative al marketing. Stiamo parlando di politica, e in politica i simboli contano eccome. Sì, è vero, molto spesso oggi li chiamiamo brand, ma questo non significa che non abbiano una storia. Ecco, a Carlo Calenda, che evidentemente viene da esperienze diverse, direi di tornare sui propri passi perché come il Web c’illude che tutto finisca nel dimenticatoio, così è utile per riportare a galla la verità. Esattamente come fece lui qualche mese fa con Renzi, a cui giustamente rinfacciò i tweet in cui diceva che mai e poi mai avrebbe governato con i 5 Stelle.
Ora, dietro a ciò che rappresentano quel nome e quello slogan ci sono decine di migliaia di giovani che hanno militato, manifestato, attaccato manifesti, fatto banchetti, distribuito volantini, dato vita a eventi come Atreju ed eleborato idee e proposte avendo poi la forza di tramutarle in Azione. Proprio come auspicava un certo Ezra Pound; ma qualcosa mi dice che anche di questo Carlo Calenda fosse all’oscuro. Le basi.