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POLITICA USA

Sfatiamo il primo mito della campagna democratica: Mike Bloomberg

Da quando il Democratic National Committee ha modificato le regole per la partecipazione ai dibattiti, favorendo la presenza dell’ex sindaco di New York, si è incrinato qualcosa nella campagna di ogni candidato. Il vero sfavorito resta il simpaticissimo Tom Steyer, non presente al dibattito in Nevada, con i sondaggi che lo accreditano intorno al 10%. Ci sorprenderà, sia in Nevada che in South Carolina.

Il più preoccupato – ovviamente – è Joe Biden. L’ex vicepresidente ha ottenuto pessimi risultati sia in Iowa che in New Hampshire e il moderato Bloomberg può risucchiare molti suoi voti a partire dal 3 marzo. Biden ha attaccato pesantemente Bloomberg sui social ed ha bollato tutta la discussione con un diretto: «io non sostengo i repubblicani».

Lapalissiano, inoltre, che sia Bernie Sanders che Elizabeth Warren siano stati furibondi, non solo alla notizia, ma durante il dibattito stesso. I due candidati con idee più radicali hanno avversato Bloomberg mettendolo alle corde. Ed era altrettanto scontato che le bordate più forti sarebbero arrivate più da loro che da Biden, per carisma e tattiche politico-elettorali. Più in generale, però, durante l’ultimo dibattito in Nevada, tutti i candidati, compresi Buttigeg e Klobuchar, si sono scagliati contro l’ex sindaco.

Il motivo? Bloomberg non è all’altezza della nomination democratica

Non solo è stato repubblicano – mentre era sindaco – dal 2001 al 2007, ma è esattamente la copia meno folkloristica di Donald Trump nel Democratic Party. È comunemente noto che gli americani non vogliono una sfida fra miliardari per la Casa Bianca. Bloomberg non solo non accetta donazioni – legittimo, sia chiaro – ma si dice disposto a donare a chiunque vincerà la nomination.

I sondaggi, intanto, lo accreditano fra il 12% e il 16% – con picchi del 18% a livello nazionale – dovuti, in realtà, più alla possibilità data dai tanti candidati moderati presenti nel panorama, rispetto a quelli più radicali. In una situazione con Biden, Buttigieg, Klobuchar e Bloomberg, come potrebbe essere diverso?

Quando va male uno, l’altro va benissimo. Iowa – in attesa dei risultati definitivi – e New Hampshire insegnano. Nevada e South Carolina insegneranno. Questa tesi è avallata anche dalla tardiva discesa in campo di Mike, il quale ha potuto concentrarsi sugli stati del super-martedì – California su tutti – mentre i suoi sfidanti erano concentrati sui primi quattro stati. Senza citare l’impeachment a lungo, il quale ha sottratto tempo ai senatori in corsa.

Inoltre, Bloomberg ha quasi monopolizzato la pubblicità elettorale con i suoi soldi e, insieme a Donald Trump, è stato l’unico candidato che ha mandato in onda un video durante il Super Bowl. Il costo? 10 milioni a testa, secondo le prime stime.

È, dunque, proprio vero che i soldi comprano tutto. Ma, lo diciamo in anteprima: i soldi non comprano la nomination democratica alla Casa Bianca.

Purtroppo, questa analisi, verrà letta in Italia e non negli Stati Uniti d’America. Gli analisti politici americani concorderebbero con quanto leggono ma, in Italia, la versione più accreditata della stampa la vede in maniera diametralmente opposta a quanto avete appena letto.

Per chi scrive nello Stivale, Mike Bloomberg è stato attaccato dai contendenti. Il messaggio passato è stato chiaro: lui può battere Donald Trump e gli sfidanti – che non hanno la sua stessa esperienza, secondo la stampa nostrana – non hanno fatto altro che attaccarlo per screditarlo.

Quindi o il sottoscritto guarda i dibattiti democratici in preda a deliri di follia per candidati non miliardari e con una carriera politica alle spalle, oppure ha ragione chi sostiene che Bloomberg sia il detentore dell’eredità di Kennedy, Roosevelt, Clinton e Obama. Insomma, l’unico in grado di battere un Presidente che, vista questa situazione, si avvantaggia sempre di più.

Delle due, l’una.

È per questo che, quando leggete Orwell, leggete voci controcorrente, libere, non legate allo status quo, non legate al pensiero unico e controcorrente.

È sempre per questo che finirò questo pezzo richiamando le parole di Steve Jobs: «Dedicato ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli. Ma l’unica cosa che non potrete mai fare loro, è ignorarli. Perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero».

PS: quando dite che Mike Bloomberg può battere Donald Trump, di che state parlando? Di Disneyland?

Written By

è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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