Mettere in fila tutti gli argomenti non è affatto semplice, ma ci proverò cominciando dalla considerazione finale, e cioè che la cattiva comunicazione ha molti aspetti in comune col Coronavirus: è di facile diffusione, colpisce chiunque senza distinzioni e causa danni ingentissimi. Riflessione che nei giorni scorsi abbiamo affrontato insieme a Giulia Songa e Andrea Ciceri, che hanno dato vita a SenseCatch – una startup che si occupa di neuromarketing – e al sociologo Mirko Bresciani, con il quale collaborano su diversi progetti.
Brainstorming da cui è scaturita l’idea di condensare in tre diversi articoli le nostre rispettive osservazioni in merito alla razionalità di un comportamento irrazionale, ovvero al rapporto tra causa ed effetto che sta dando vita ai comportamenti del tutto irrazionali a cui assistiamo quotidianamente.
Per capirci, in merito alla correlazione tra gli effetti della comunicazione e i comportamenti delle persone, il celebre esperto di mass-media Walter Lippmann affermava che le notizie formano una sorta di pseudoambiente, ma le nostre reazioni a tale ambiente non sono affatto pseudoazioni, ma azioni reali.
Questo è il tema sul quale vi accompagnerò nelle prossime righe, facendo da apripista agli altri due contributi che saranno focalizzati su una visione sociogico-filosofica (Mirko Bresciani) e psicologica (Giulia Songa e Andrea Ciceri).
Per cominciare trovo utile pubblicare un’immagine che ci propone la sequenza di alcune delle prime pagine dei maggiori quotidiani nei primi giorni di emergenza Coronavirus:
Ciò che balza all’occhio, è che la schizofrenia che ritroviamo nei media si traspone plasticamente nell’atteggiamento di milioni di persone, che il giorno prima svaligiano i supermercati e quello successivo dicono che le misure restrittive sono eccessive perché tanto «il Coronavirus è poco più di una normale influenza».
Non se la cavano meglio i politici che, come abbiamo osservato nei giorni scorsi, pagano a caro prezzo la scelta (reiterata e trasversale) di non dotare l’Italia una “cabina di regia” per la gestione della comunicazione istituzionale e del brand Italia: l’elenco di epic fail sarebbe smisurato, così mi limito a citare l’ultimo in ordine cronologico che, guarda caso, è proprio di ieri e riguarda l’annuncio di ulteriori misure restrittive fino al 15 marzo.
Alle 13:53 esce un flash dell’ANSA che dice “Governo, chiuse scuole e università (fino a metà marzo, nda)”. Dieci minuti dopo il ministro dell’Istruzione Azzolina dice che no, nessuna decisione è ancora stata presa. E poi ci chiediamo perché all’estero non ci prendono sul serio? pic.twitter.com/vF4HCEDW2d
— Fabrizio Goria (@FGoria) March 4, 2020
Come avete visto dal tweet di Fabrizio Goria misure prima annunciate con un lancio d’agenzia, poi smetite e poi ancora riannunciate. Il tutto nel giro di un solo pomeriggio. Considerate, poi, che soltanto una settimana fa il presidente Conte aveva seccamente smentito l’ipotesi di una chiusura delle scuole al di fuori della zona rossa:
Tralasciando le valutazioni politiche, risulta palese come la mancanza di una linea di comunicazione precisa e coerente al livello più alto della catena di comando si rifletta, poi, inevitabilmente sui media e, a cascata, su noi cittadini; a maggior ragione – va detto – per tutte quelle persone poco avvezze a documentarsi e ad approfondire le notizie andando oltre la lettura del titolo di un articolo.
Per non parlare, poi, del riflesso che questo concatenarsi di errori ha sulla percezione sempre più negativa che hanno dell’Italia all’estero:
Quella che vedete è una cartina che l’emittente americana CNN (che negli ultimi anni, dal Russiagate in poi, ha perso quote ingentissime di auterevolezza e credibilità) ha trasmesso nei giorni scorsi, dipingendo in maniera fuorviante la nostra Nazione come l’epicentro della diffusione del Coronavirus mettendoci, di fatto, sullo stesso identico piano della Cina.
Sia pur meno sfumato rispetto a quello della CNN, un altro episodio di sciacallaggio mediatico nei confronti dell’Italia è certamente costituito dall’ignobile video “satirico” (che volutamente non pubblichiamo) mandato in onda dalla francese Canal+, il cui protagonista è un pizzaiolo italiano che sputa su una pizza appena sfornata e subito ribattezzata “Corona pizza”.
Questi sono solo alcuni dei tanti esempi che potremmo citare per dimostrare la centralità della comunicazione che, badate bene, non nasce certo oggi o con la rivoluzione digitale, ma al contrario, volendo soffermarci sulla storia moderna, ha radici profondissime: basti pensare, giusto per citare un celebre caso di studio, al ruolo determinante che tra il 1917 e il ’18 la Commissione Creel ebbe nel convincere il popolo americano che fosse giusto entrare in guerra.
Si trattava di un comitato che il neo-rieletto presidente Woodrow Wilson istituì con quel preciso scopo e del quale, oltre al giornalista George Creel, facevano parte Walter Lippmann ed Edward Bernays, ovvero due tra i maggiori esperti di comunicazione a livello assoluto.
Da allora sono passati ben 102 anni, non esitevano né il Web né gli smartphone, eppure il governo degli Stati Uniti (che non è certo l’unico caso) aveva già compreso il concetto che, qualche decennio più tardi, un certo Donald Trump seppe fare suo, affermando che
«se non gestisci il tuo brand qualcun altro lo farà per te, e probabilmente quel qualcuno sarà il tuo competitor».
A buon intenditor…