Se fossimo nell’alveo della licenza poetica tutto questo sarebbe bellissimo ma, visto che parliamo di politica e, soprattutto, di dati e fatti verificabili, non possiamo non dire la verità.
Questa differenza riguarda, nei casi che seguiranno, il già ritirato Mike Bloomberg.
Primo caso: caucus in Iowa
Il 3 febbraio 2020, giorno del disastro democratico in Iowa, i media italiani riportavano la candidatura di Bloomberg proprio in quei caucus, mentre, come i risultati stessi hanno dimostrato, l’ex sindaco di New York non ha mai gareggiato nei primi quattro appuntamenti elettorali, poiché ha presentato la sua candidatura in ritardo. Il primo stato in cui fu inoltrata formale richiesta fu l’Alabama, dove si è votato il 3 marzo.
Titolo fuorviante e candidatura mai avvenuta, quello del Corriere che vedete qui sopra, come dimostra la presenza dello stesso Bloomberg a Fresno, in California, mentre tutti i principali sfidanti erano in Iowa in attesa che il disastro si consumasse.
Ciò, ovviamente, non è bastato ai media nostrani per placare la loro diffusione di notizie fuorviante.
Il 19 febbraio 2020, giorno del dibattito a Las Vegas, Nevada, Mike Bloomberg, nonostante le proteste soprattutto di Bernie Sanders e Elizabeth Warren – grazie alle modifiche apportate dal Comitato Nazionale Democratico (DNC) alle regole – partecipa al suo primo dibattito, nonostante non sia candidato in quei caucus. Pensate che, per le primarie in South Carolina, non era neanche materialmente possibile votare Bloomberg, perché non era ammessa la tipologia “write-in”.
Quel giorno, però, il titolo estremamente fuorviante di Repubblica, soprattutto per chi ha visto il dibattito, modifica la percezione della realtà. Mike Bloomberg ha perso, con esclusione di contraddittorio su questo punto, amaramente la sua prima uscita davanti le telecamere.
Vale la pena ricordare che, il giorno dopo, per rispondere alla pessima prestazione, Bloomberg fu il primo candidato – insieme a Sanders – ad acquistare spazi pubblicitari negli stati in cui si è votato il 3 marzo. Per correttezza, Bloomberg ha partecipato anche all’ultimo dibattito, tenutosi il 25 febbraio a Charleston, South Carolina.
Tornando alla troppa attenzione concessa a Bloomberg, occorre dire che i sondaggi nazionale, i quali avevano immediatamente collocato Bloomberg al terzo posto – media fra il 12% e il 17% – hanno immediatamente rivisto le loro stime, vista la pessima prestazione offerta.
Last but not least
3 marzo 2020, giorno del super-martedì. Alle 5 di mattina, in Italia, esce il primo exit poll sulla California, stato che assegna il maggior numero di delegati: Sanders 38.4%, Biden 22.9%, Warren 14.7% e Bloomberg al 10.7%.
Tutti i media, a distanza di circa dieci minuti, hanno assegnato la vittoria a Sanders (sopra vediamo Repubblica). I primi risultati – quando solo il 10% era riportato – davano il Bloomberg al secondo posto. La verità è che – anticipando che avremo i risultati definitivi fra giorni (forse l’1 aprile), causa la moltitudine di voti inviati elettronicamente – Bloomberg attualmente è al terzo posto, con il 14.1% dei voti, sotto addirittura la soglia di sbarramento del 15%, così come in Texas (14.4%).
E no, non è il suo miglior risultato. Poiché se per risultati buoni, come metro di giudizio, occorre considerare il superamento della soglia di sbarramento e la vittoria – ottenuta solo nei caucus delle American Samoa – Bloomberg è andato meglio della California in tutti quegli stati in cui ha ottenuto delegati statali e non distrettuali. Un pessimo risultato per chi, con la sua “bestia”, ha assoldato persone per provare a monopolizzare i social.
Questo filo conduttore fra le news riportate e la verità dei fatti ci consegna una verità insindacabile: il 2016 non ha insegnato nulla.
Il Paese che elegge il leader del mondo libero merita attenzione, programmazione, sicurezza e dati affidabili. Il sistema americano è contorto, ed è proprio per questo che siamo così appassionati quando ve lo raccontiamo.