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Politica

Tutti a casa, anche Conte

Davanti a un annuncio così importante avrei dovuto provare preoccupazione ma, al contempo, identificarmi nel capo del governo anche se non l’ho votato (e come me nessuno, per inciso). Avrei dovuto ma non è accaduto, per il semplice fatto che Giuseppe Conte e i suoi colleghi sono tra i primi responsabili della più grande crisi della storia repubblicana, e per quanto mi riguarda riempirsi la bocca con la retorica del «questo non è il momento delle polemiche» nella speranza che il tempo seppellisca le responsabilità nel dimenticatoio e tutto passi in cavalleria è semplicemente inaccettabile.

L’emergenza è appena cominciata e l’Italia ha bisogno al più presto di una guida competente e affidabile, cioè l’esatto opposto di questa maggioranza, che ha commesso un errore dopo l’altro con l’aggravante di aver irriso chi chiedeva misure più stringenti: nei giorni scorsi ho scritto più volte di quanto sia importante la gestione della comunicazione in frangenti come questo, e il disastro che abbiamo sotto gli occhi è lì a dimostrarlo.

Tra le tante, infatti, la colpa peggiore del governo Conte è stata quella di diffondere il virus della minimizzazione: ostentando dichiarazioni come «è tutto sotto controllo», «gli italiani possono vivere tranquilli come hanno sempre fatto», «è poco più si un’influenza» e, diciamolo, la demenza del «milanononsiferma», ha instillato in milioni di italiani la convinzione che il Coronavirus fosse una bazzecola, favorendone l’escalation.

 

Mi rendo conto di chiedere troppo, eppure sarebbe bastato che Conte, Di Maio, Renzi, Zingaretti e soci leggessero le notizie che provenivano dalla Cina e facessero due più due: la seconda potenza economica al mondo, paese sotto dittatura e il cui popolo è abituato a lavorare il doppio di noi ma guadagnando un quarto poteva davvero bloccarsi per «una semplice influenza»? Cose da pazzi. In ogni caso delle due l’una: o, come credo, sono incapaci, oppure hanno agito in malafede.

Non serve un commissario che fondamentalmente sarebbe relegato al ruolo di parafulmine a questo governo sgangherato, ma un governo nuovo, possibilmente sostenuto da tutte le forze presenti in Parlamento e composto riscoprendo un criterio che alle nostre latitudini sembra ormai diventato un’eresia: la meritocrazia. Che significa persone giuste al posto giusto.

Molte imprese e tanti lavoratori sono già vicini al collasso, persone che hanno bocche da sfamare, mutui, tasse e stipendi da pagare e in tanti casi lo fanno producendo materialmente prodotti e servizi: basti pensare alla logistica, al terziario, all’industria, al manifatturiero. Ancor prima dei fatti, le categorie produttive si aspettano che il capo del governo sia in grado di rivolgersi a loro dicendo qualcosa di più concreto dello smart working!

A questo proposito, manco a farlo apposta un paio d’ore dopo la conferenza stampa di Conte c’è stata quella di Trump alla Casa Bianca, che ha esordito così: «il Coronavirus ha sorpreso il mondo. Ma noi abbiamo un’economia forte e adotteremo misure per aiutare imprese grandi e piccole. Domani sarò in Senato per proporre un forte taglio delle tasse sui salari». Di fatto un dietrofront rispetto alle dichiarazioni inopportune rilasciate fino a qualche ora prima, ma nella sostanza in confronto al nostro governo emerge una differenza di approccio abissale.

Insomma, non possiamo più permetterci tentennamenti, ritrattazioni o notti di ordinaria follia come quella scatenata dalla diffusione anzitempo della bozza del decreto sulla zona rossa: c’è bisogno di persone capaci di gestire un’emergenza di portata storica, di adottare provvedimenti concreti e immediati a favore di aziende e lavoratori e di sedare sul nascere i focolai criminogeni che in queste settimane potrebbero derivarne, nelle carceri e non solo.

Quindi, caro presidente Conte, noi resteremo a casa, ma fateci un favore: andateci anche voi.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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