Noi lo ignoriamo ma il dio Click esiste. Evocato per le sue doti salvifiche perfino dalle alte sfere dell’Inps, che vi si aggrappano disperatamente affinché sia lui a prendere l’ennesima decisione su cui il governo ha abdicato, dando cioè il via a una sorta di selezione naturale tra le già sventurate Partite Iva.
Né più né meno di una roulette russa: o dentro o fuori, vivo o morto.
Milioni di liberi professionisti davanti al computer lo stesso giorno a imprecare contro la rete che non andrà o il sito che casualmente s’impallerà, con la differenza che non lo faranno – come avveniva prima del Coronavirus – per acquistare il biglietto per un concerto, ma per avere ciò che gli spetta; ovvero uno striminzito assegno sul cui importo scelgo l’autocensura per carità di patria.
Oltre ai gangli della previdenza sociale, il dio Click avvolge anche le stanze dei bottoni, pervadendone gli inquilini con poteri magnetici, trasformandoli tutti in un manipolo di Gollum smaniosi di accarezzare mouse e smartphone mentre assistono estasiati al moltiplicarsi di click, like e retweet da loro accolti con imperitura gratitudine al grido di: «il mio tessoro!»
Una forza devastante, che antepone il consenso a ciò che è giusto, per la quale è meglio prendere un like oggi che lavorare per guardare con fiducia al domani: è questo il seme su cui germogliano bestialità quali “milanononsiferma”, “abbracciauncinese”, “è come l’influenza” e altre sulle quali preferisco appellarmi nuovamente all’autocensura.
In tutto questo è evidente che la quarantena forzata proietti il nostro io più nella dimensione digitale che in quella reale, catapultandoci nella Terra di Mezzo in cui il dio Click regna incontrastato. Peccato, però, che nella realtà i like non contino nulla e che installare un antivirus al massimo potrà salvarci il computer o il telefonino ma le vite vere no: a quelle continuano a pensarci medici e infermieri, quelli costretti a lavorare anche senza le mascherine che non siete in grado di mandargli.
Ma quando siamo in preda al dio Click è più facile crogiolarci in una nostra immagine photoshoppata e messa online, piuttosto che guardare in faccia la realtà.