In tempi moderni, le incognite sul futuro non sono probabilmente mai state tante, anche se i grossi interrogativi che tutti ci poniamo sono essenzialmente due: «quando finirà?» e «in cosa cambierà il mondo dopo il coronavirus?». Al netto delle considerazioni sul metodo con cui i governi di tutto il pianeta stanno affrontando questa terribile emergenza, nel merito possiamo partire da un dato oggettivo, ovvero che il mondo era totalmente impreparato ad affrontare un’emergenza di questo tipo.
Aggiungo che l’impreparazione emerge anche in ciò che andrebbe fatto per “governare” questo periodo al di là dell’emergenza o, per meglio dire, conseguenzialmente all’emergenza. Ora, siccome ho intenzione di condividere con voi alcune riflessioni in merito all’adesso e al dopo, credo sia opportuno procedere per punti.
Governi, non c’è solo il coronavirus
Partiamo da un presupposto: comprendo perfettamente che gestire una crisi epocale e complessa come questa sia a dir poco totalizzante. Detto questo, però, credo che si dovrebbe avere la freddezza per dividere la gestione dell’emergenza dal governo complessivo del paese, sul quale peraltro concentrerei tutte le forze, visto il sostanziale fallimento di istituzioni sovranazionali come l’Europa.
Ergo, al netto del giudizio totalmente negativo su tutta la linea di questo governo, considererei l’ipotesi di creare una task force interna all’esecutivo (non c’è bisogno di altre figure, le sovrapposizioni creano solo confusione) composta da alcuni ministri e sottosegretari deputata unicamente alla gestione della crisi, mentre gli altri dovrebbero concentrarsi prevalentemente su tutto il resto.
Cosa fare per ottimizzare questo stop forzato?
Il fatto che sia tutto fermo è certamente un enorme impedimento ma, in alcuni casi, potrebbe anche essere colto come l’opportunità per fare cose in attesa da troppo tempo. Penso ai lavori pubblici, dalla banale riasfaltatura delle strade che aspettano di essere risistemate da anni, all’immensa mole di lavoro che va fatto per prevenire i disastri idrogeologici.
Ovvio, tutto prendendo le dovute precauzioni in termini di sicurezza sul lavoro, come peraltro sta avvenendo con successo per i lavori di ricostruzione del Ponte Morandi. In questo caso sarebbe necessaria una cabina di regia ad hoc, composta da enti locali e nazionali, con il mandato di stilare immediatamente un calendario di interventi infrastrutturali da realizzare durante il lockdown. Pensiamo, ad esempio a Roma: in queste settimane la Città Eterna potrebbe portarsi avanti rispetto a molte delle infinite carenze strutturali che ha evidenziato nell’ultimo decennio.
Il fisco va cambiato
Anche dal punto di vista delle politiche economiche, pur rimanendo ovviamente parallele, le attività di governo andrebbero divise da quelle di pura emergenza. Per intenderci, i vari decreti “Cura Italia” dovrebbero essere affiancati a riforme sistemiche che tengano conto delle mutate condizioni socio-economiche, e quindi anche delle possibilità contributive di professionisti e aziende, che inevitabilmente saranno ridimensionate. Nessuno, tranne forse alcune grandi corporation, sarà più in grado di sostenere una pressione fiscale che già prima di questa crisi rasentava l’insostenibilità.
Sì, perché oltre a rimettersi in moto e far fronte alle spese, che a differenza del fatturato non si sono fermate nemmeno per un giorno, nessuno dice che per poter stare in piedi le imprese dovranno spendere anche per adeguarsi al nuovo contesto. Ci auguriamo che la classe dirigente ne prenda atto, perché se pensassero che lo Stato possa permettersi di lasciare tutto così com’è andremmo incontro a un bagno di sangue ben peggiore della Grande Depressione del ’29 in quanto rispetto ad allora, tra le tante, esiste una differenza sostanziale: la globalizzazione.
Quindi, anche dal punto di vista economico l’emergenza Covid-19 dovrebbe diventare l’occasione per quell’elettroshock fiscale che il tessuto economico-produttivo italiano aspetta invano praticamente da sempre. In questo modo lo Stato metterebbe in moto un meccanismo virtuoso perché contribuirebbe concretamente a creare opportunità, lavoro, ricchezza, attrarre investimenti anche dall’estero e, di conseguenza, incassando ben più di quanto non farebbe se pensasse di vessare aziende e professionisti già in grandissima difficoltà.
E le riforme, dove le mettiamo?
C’è davvero qualcuno che pensa che potremo gestire questa seconda fase della rivoluzione digitale con i tempi biblici del bicameralismo perfetto? Chi puo’ credere che possiamo ancora permetterci l’instabilità politica degli ultimi 70 anni?
Per ripartire servono riforme strutturali anche dal punto di vista costituzionale, che oltre a chiarire il principio secondo cui chi vince le elezioni poi ha la possibilità di governare, si ponga all’avanguardia nell’elaborare una coniugazione tra la riscoperta dei corpi intermedi e l’introduzione di una vera democrazia digitale.
Si tratta di un processo ineludibile, che per questo deve essere introdotto e governato per evitare che siano gli eventi a prendere l’iniziativa travolgendo qualsivoglia istinto auto-conservativo dell’attuale classe dirigente.
– Continua domani