Dopo le riflessioni di ieri inerenti alle azioni che il governo dovrebbe intraprendere in questa fase, oggi Alessandro Nardone affronta le questioni del dopo, soffermandosi sul nuovo modello economico e sociale che sta già vedendo la luce.
Come sarà il dopo-coronavirus?
Mi guardo bene dal fare il veggente, ma qualche domanda sui retaggi di questa emergenza me la pongo eccome. In primis ritengo che molti dei cambiamenti che stiamo vivendo in queste settimane rappresentino un punto di non ritorno. Pensiamo allo smart working: se sommiamo l’abbattimento dei costi alle maggiori difficoltà che avremo a spostarci e all’aumento della produttività, è presumibile che anche a lockdown terminato in molti continueranno a lavorare da casa.
D’altronde appare evidente come gran parte delle nostre esistenze si sia spostata dalla dimensione reale a quella virtuale: a causa della quarantena passiamo online gran parte della nostra giornata, ed e lì, in Rete, che dovrà traslocare buona parte dei business delle aziende che vorranno tornare a essere competitive.
Ecco, per certi aspetti ritengo che “il sottosopra” in cui siamo stati catapultati dal coronavirus rappresenti la metafora di ciò che ci aspetterà, quantomeno nei primi tempi: dal social distancing passeremo ad una sorta di nations distancing, nel senso che per un po’ sarà oggettivamente più difficile viaggiare rispetto al prima, e anche in questo caso i rapporti dovranno essere gestiti online.
Insomma, diciamo che mano a mano che si allenteranno le restrizioni la dimensione virtuale della gestione dei rapporti vivrà diverse tappe che potremmo sintetizzare così: ora da persona a persona, nella “fase due” da casa a casa e da città a città, quindi da nazione a nazione per poi, infine, tornare a essere globale.
Potrebbero volerci mesi, o forse anche anni, questo non lo sappiamo ed è impossibile da prevedere. Ciò che conta, preso atto che per arrivare al dopo ci sarà da aspettare, è organizzarsi al meglio per l’adesso.
Incentivare le imprese a fare sistema
Inevitabilmente, in questo scenario sarà fondamentale creare le condizioni affinché tutte le anime del tessuto produttivo italiano possano incontrarsi e cominciare a fare affari tra loro: non si tratta di autarchia, ma semplicemente di una presa d’atto di questa rivoluzione che deve essere aggredita e non subita passivamente.
Quindi, anche nell’ottica di un’accellerazione del processo di alfabetizzazione digitale sul quale come “Sistema Italia” è stato buttato via almeno un decennio, sarebbe opportuno cominciare sin da subito con la creazione di una piattaforma che abbia la funzione di censire e, in base alle singole caratteristiche, favorire il matching tra aziende e professionisti che potrebbero sviluppare interessi comuni.
Nascerà un nuovo modello economico e sociale
Anche in questo caso la premessa è banale: essendo cambiato tutto, inevitabilmente anche il modello economico dovrà cambiare. Già, ma in che modo? Intanto, tra le conseguenze dirette è già in atto – come dicevamo prima – una sorta di de-globalizzazione, che a mio avviso non significherà che dovremo rinchiuderci ognuno nel proprio eremo ma che, sicuramente, dovremo rivedere le logiche speculative che hanno portato le economie occidentali a dipendere totalmente da quelle dei cosiddetti paesi emergenti.
Chiaro che facesse comodo a molti spostare la produzione laddove la mano d’opera ha un costo molto vicino allo zero e i lavoratori non sono tutelati in alcun modo. Se poi, a questo, aggiungiamo che le merci realizzate a costi infinitamente inferiori vengono rivendute ai medesimi prezzi che avrebbero avuto se fossero state prodotte in occidente, allora abbiamo la dimensione di ciò che dovrà cambiare se vorremo avere delle possibilità concrete di rimetterci in piedi.
Prendiamo una questione di tremenda (e drammatica) attualità come quella delle mascherine: nel corso degli anni gran parte delle aziende occidentali ha smesso di produrle poiché con i prezzi della Cina non c’era competizione. Una volta scoppiata la pandemia, è bastato che la Cina ne bloccasse l’esportazione per lasciare il mondo intero senza mascherine. Ragionamento che possiamo applicare su una moltitudine di prodotti, e che evidenzia l’esigenza di ridisegnare i confini delle nostre economie in base a criteri che impediscano di accentrare la produzione in paesi che giocano con regole diverse dalle nostre (vedi alla voce democrazia) fornendo loro una Golden share sui nostri sistemi economici.
Meno quantità, più qualità
Sono convinto che dovrà essere questo il principio su cui basare la ripartenza di un grande paese come l’Italia e la costruzione di questo nuovo modello economico e sociale: porre un freno al consumismo sfrenato che spesso ci ha indotti a disperdere le nostre disponibilità acquistando tanti prodotti di qualità assai discutibile e privilegiare un ritorno all’affermazione del concetto di qualità. Possedere meno cose ma di valore.
Un concetto che si sposa perfettamente con i valori del Made in Italy in tutte le sue declinazioni: dalla moda, alla tecnologia per arrivare al food e al turismo. Noi siamo qualità, e se è vero che nel resto del mondo non possono fare a meno dei nostri prodotti perché sono inimitabili, è altrettanto vero che – al netto delle eccellenze altrui, ça va sans dire – noi possiamo tranquillamente rinunciare a tutta la “fuffa” proveniente dai mercati stranieri.
Principio, questo, che mi riporta alla mente una citazione di Fight Club – il celebre romanzo (poi divenuto anche un grande film) di Chuck Palahniuk – nel quale il protagonista, scagliandosi contro la deriva consumistica, afferma che «ciò che possiedi alla fine ti possiede»: ecco, fino ad ora noi tutti ci siamo consapevolmente lasciati cullare da una logica che ci ha indotti a possedere troppe cose inutili e di bassa qualità, alimentando un sistema che ha finito col possederci tutti.
Sarà bene, giusto per rimanere nelle metafore cinematografiche, ingoiare la pillola rossa e tornare a essere il prima possibile padroni del nostro destino perché, come nostro malgrado ci sta insegnando il dannato Covid-19, ogni giorno di attesa con le mani in mano potrebbe tramutarsi in una nuova catastrofe.