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POLITICA USA

La resa di Sanders non aiuta Biden

Che le primarie democratiche, con buona pace dei complottisti, fossero finite, lo avevamo già detto il 3 marzo. Eppure, che sarebbero finite così non se lo aspettava nessuno.

Questa situazione di emergenza sanitaria a livello mondiale ha, infatti, costretto Bernie Sanders alla resa. Certo, prima o poi sarebbe accaduto ma, considerato il precedente del 2016, non ci si aspettava che il senatore del Vermont si dimostrasse così arrendevole. Anche le sue stesse dichiarazioni nel giorno in cui ha sospeso la campagna elettorale non sono state al livello delle aspettative.

La diretta Facebook con la quale Sanders ha ufficialmente appoggiato Biden nella lotta alla Casa Bianca – chiaro segnale anche della differenza con quanto accaduto con la Clinton, nel 2016 – lascia molti punti interrogativi in cerca di risposta.

L’ex vicepresidente, Joe Biden, ha immediatamente affermato che avrebbe fatto suoi alcuni punti del programma del socialista – college gratuito su tutti – ma questo potrebbe non bastare.

Anzitutto Biden deve concentrarsi sul suo carisma, agli antipodi rispetto a quello di Sanders, se vuole convincere i giovani elettori a recarsi alle urne. Il secondo interrogativo è di stampo prettamente elettorale: i BernieBros – gli accaniti elettori del socialista – si recheranno alle urne o potrebbero disertarle come nel 2016? E, ancora, in questa categoria di elettori, quanti sono dei first time voters e quanti invece sono ispanici?

L’eventuale scelta di una vicepresidente afroamericana o, comunque, il grande sostegno che Biden ha in questa fascia di elettori, basterà per portarli alle urne in numero maggiore rispetto a quattro anni fa?

Ci si chede allora chi sarà la terza donna dopo Geraldine Ferraro (ticket con Mondale nel 1984) e Sarah Palin (ticket con McCain nel 2008) a correre per la vicepresidenza? Stante che entrambe furono sconfitte. Come intende l’ex vicepresidente affrontare il dopo- pandemia? Quali sono le sue risposte al Medicare For All tanto invocato dai progressisti e così lontano dalla sua idea di un Obamacare 2.0? Su quali Stati puntare effettivamente per non rischiare di disperdere troppo tempo in delle elezioni che, nella storia recente, saranno sicuramente segnate, a prescindere dalla situazione in cui ci si troverà il 3 novembre, dal Covid-19?

Gli interrogativi sono tanti. Non sono stati elencati, perché avranno un loro momento: quelli dello scontro faccia a faccia contro Donald Trump. Anche il più fervido sostenitore di Biden dovrebbe ammettere in partenza che Trump parte avvantaggiato in uno scontro televisivo, per vari motivi. Di certo Biden potrebbe sorprenderci anche su questo, ma è troppo presto sia per ipotizzarlo che per dirlo.

Esistono quei soliti sondaggi – la leader in materia è come sempre la CNN – che danno Biden “già” avanti di 10 punti percentuali. Anche su questo i media non hanno imparato nulla rispetto al 2016. È vero che saranno elezioni diverse – soprattutto perché Biden non è la Clinton – ma, detto con tutta franchezza, siamo sicuri che la strategia di dipingere Trump come “il più pericoloso Presidente della storia recente” possa premiare, dopo che, nel 2016, “il peggior candidato della storia” è stato eletto proprio negli stati che dovevano essere “certamente” (si intende fuori dal margine d’errore per i sondaggi) democratici?

Trump verrà giudicato per la gestione, al momento altalenante, della pandemia, per i numeri dell’economia – non dimentichiamo come è andata fino a marzo– per i tassi di occupazione e disoccupazione, per le proposte di rilancio post COVID-19. Pensare che i soli numeri di approvazione e disapprovazione del presidente possano dirci come finirà una elezione è da folli.

È si vero che Trump non ha un tasso di approvazione alto in questo periodo (se prendiamo come metro di paragone Bush jr. post 11 settembre il confronto è impietoso) e che forse “perché proprio a me?” – in riferimento al virus – lo ha pronunciato davvero, ma le campagne presidenziali e le conseguenti vittorie non si costruiscono solo sugli errori dell’avversario.

Non solo Biden avrà bisogno di un programma all’altezza delle aspettative ma di un connubio di fattori strettamente necessari per vincere la sua partita.

Parlare oggi del 3 novembre è quanto di più irresponsabile, giornalisticamente parlando, si possa fare. Gli elettori che, vale la pena ricordarlo, sono prima di tutto cittadini e persone, sono completamente disinteressati alle elezioni. Si osservano piuttosto i numeri delle primarie in Wisconsin e le proteste che ne sono derivate.

Arriverà un tempo per tornare a parlare delle elezioni più importanti al mondo, ma non è oggi.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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