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POLITICA USA

Trump vs Biden: alla guerra dei media

«Un astronauta che ritorna sulla terra dalla Stazione Spaziale Internazionale». È così che David Plouffe e David Axelrod – ambedue ex Senior Advisor di Barack Obama – hanno definito Joe Biden – e la sua stanza – per la conduzione della campagna elettorale durante la pandemia.

Nella sua residenza di Wilmington, in Delaware, Biden sta gestendo una campagna virtuale dal suo seminterrato allestito dal suo staff. La stragrande maggioranza della sua campagna elettorale, oramai, viene costruita in questo mini-studio.

Biden ha fatto anche sapere per tramite del suo staff che, nonostante l’allentamento delle misure per contrastare il Covid-19 in quasi tutto il Paese, non intende modificare, al momento, la gestione della sua campagna.

Il cambio di rotta dell’ex vicepresidente si è avuto intorno a metà marzo quando, dopo aver avuto la sicurezza di essere l’ultimo democratico in corsa per le primarie e nel pieno della pandemia, ha ingaggiato Jennifer O’Malley Dillon, la quale ha dato una svolta alla conduzione della sua campagna.

Nonostante questo, però, le critiche per non aver fatto abbastanza sono arrivate anche dai democratici. La dichiarazione virgolettata in apertura proviene da quegli stessi “architetti” che hanno costruito la doppietta del 2008 e del 2012 di Barak Obama. Gli stessi Plouffe e Axelrod, insieme ad altri democratici – non a caso – hanno incoraggiato Biden a fare un uso più ampio delle piattaforme di Facebook, Twitter, Snapchat, Instagram e TikTok. Indubbiamente questa spinta propulsiva degli ex Advisor dello sponsor principale di Biden proviene dalla differenza abissale nella gestione dei social network con Donald Trump. Più in generale, questa preoccupazione si riflette sul futuro prossimo.

A settembre si terranno i dibattiti televisivi, terreno di facile conquista per il Presidente attuale che, come la sua stessa storia insegna, davanti a una telecamera e in veste poco presidenziale – tattica, non solo un modo di fare – si trova benissimo.

Trump parte da un vantaggio: è in campagna elettorale da oltre un anno e mezzo – taluni sostengono che in realtà fin dal giuramento non abbia mai smesso di concentrarsi sul 2020. Già dopo la Convention repubblicana del 2016, la scelta di Trump di spendere la stessa cifra per gli spot televisivi e per la comunicazione online tramite social ha fatto notare come, in realtà, sia stata riscritta la conduzione delle presidenziali.

Come Daniel Kreiss – professore associato all’Hussman School of Journalism and Media all’University of North Carolina – afferma: «i cellulari diffondono costantemente notizie mentre ti muovi». E lo fanno attraverso i social. Per una persona che utilizza proprio queste piattaforme per informarsi sulla politica, la differenza fra i profili social dei due candidati in pectore – fino alle Convention questa è la dicitura – alla Casa Bianca appare chiara. E non sono solo i numeri a essere un metro di paragone. È il modo in cui i messaggi vengono veicolati.

In questo Biden potrebbe chiedere aiuto a Barack Obama. Giorni fa l’ex Presidente ha twittato semplicemente la parola «vote». Il numero di “mi piace” ottenuto dal 44° Presidente ha ottenuto più like di qualunque altro tweet di Trump. La sfida, però, non è fra Obama e Trump. Occorre, dunque, analizzare i dati.

Durante il lockdown, per esempio, dal 21 marzo all’11 aprile, il 62% della spesa pubblicitaria di Biden su Facebook è stata indirizzata alle elettrici; Trump, nel medesimo periodo, ha risposto con il 54%. Il perché di questa scelta, soprattutto da parte di Biden, è presto spiegato: sin dal 2016 il numero di donne che vota democratico è in netto aumento. Durante le midterm del 2018, inoltre, addirittura il 59% delle elettrici ha scelto i democratici. Questo ha, in alcune zone, comportato che solo 32 dei 69 distretti in mano repubblicana alla Camera siano rimasti al GOP. La differenza, dunque, è nel numero di interazioni e nella costanza di pubblicazione. Nel mese di marzo Trump ha ottenuto, solo su Facebook, 42.6 milioni di interazioni, Biden solo 3.4 milioni. La differenza è abissale.

Anche le fasce di età dimostrano come i due candidati si concentrino su determinati elettori. I team dei due candidati stanno cercando di raggiungere gli elettori compresi fra i 45 e i 64 anni utilizzando lo stesso importo. Al contrario, un sondaggio pubblicato il 23 aprile dall’Harvard Youth Poll dimostra come Biden sia avanti di circa 25 punti percentuali fra i giovani. Non a caso, nessuna delle due campagne si sta concentrando sugli elettori che hanno meno di 30 anni. Sempre gli stessi dati dimostrano – facendo notare come i giovani siano stati dalla parte di Sanders – che questa fascia di elettori ritiene che la loro vita sia peggiorata proprio a causa dell’amministrazione Trump. Va aggiunto, però, che l’affluenza alle urne dei giovani è storicamente deludente. Così come quella alle primarie per Sanders.

Questo quadro, ovviamente da approfondire e che in breve ha fornito un primo veloce flash sulle campagne dei due candidati, aiuta a capire come esistano dei punti in comune, oltre alle conclamate differenze, fra Trump e Biden.

Eppure, l’attuale situazione, nell’attesa che finalmente tornino i più famosi rally, sembra avvantaggiare Trump nonostante l’altalenante gestione della pandemia. Quantomeno da un punto di vista comunicativo. A inizio aprile, il The New York Times si chiedeva: «Biden sta perdendo internet. È importante?».

Il tutto nasceva da un commento sotto un video con pochissima interazione pubblicato da Biden su Twitter: «questo è il ragazzo che dovrebbe battere Trump?». Indubbiamente Biden è un politico vecchia scuola che preferisce i comizi alla moderna tecnologia – ricordiamo, a tal proposito, che su Instagram Obama dava il bentornato al suo VP solo a settembre 2018 – ma anche la pandemia stessa ha permesso a Trump di rinforzare la sua presenza sui social oltre ad avere le telecamere puntate sulla Casa Bianca. Insomma, potremmo definirlo il re del ciclo delle notizie.

Sicuramente non è la popolarità online a portare al successo elettorale ma sottovalutare l’influenza che oggi internet, soprattutto grazie ai social, ha in una campagna presidenziale è un grave errore. Il problema di Biden, effettivamente, è strutturale. Lo stile combattivo e non filtrato di Trump polarizza i contenuti fra i suoi sostenitori e i suoi avversari, mentre quello conciliante di Biden può renderlo addirittura invisibile su piattaforme dove il «conflitto è uguale ai click». Già nel 2016 questo problema strutturale, insieme al peccare di presunzione, non aiutò la Clinton.

Lo stesso digital director della campagna di Biden, Rob Flaherty, ha ammesso che «la cosa migliore che si può fare senza trasformarsi in Donald Trump è mostrare empatia e compassione, costruendo una comunità. La nostra strategia digitale si baserà su questo». La svolta impressa dalla nomina della O’Malley Dillon, però resta, come abbiamo visto, criticata.

Il mini-studio televisivo che Biden usa per partecipare ai programmi televisivi e alle dirette sui social media

Joe Rogan, commentatore e comico con una community di oltre 8 milioni di persone su YouTube, dopo aver elogiato la campagna di Sanders ha attaccato duramente Biden, affermando che «riesce a malapena a ricordare di cosa sta parlando». Non proprio un complimento per chi, al momento, sta costruendo la sua campagna digitalmente.

Eppure, gli sforzi di Biden e del suo team stanno dando qualche frutto ma, non a caso, sono più significativi quando l’ex vicepresidente è accompagnato ad Obama o Sanders. Lo stesso manager che nel 2016 – lo sta facendo anche oggi – ha curato la strategia comunicativa di Trump, Brad Parscale, ha affermato di non aspettarsi, entro il 3 novembre, un significativo avvicinamento di Biden a Trump.

I democratici hanno preferito l’usato sicuro – Biden – rispetto alla strada nuova – Sanders – e sperano che un errore commesso due volte non diventi nuovamente una volontà. I miglioramenti ci sono, indubbiamente, ma l’incognita della pandemia potrebbe disegnare nuovi scenari che potrebbero modificare nuovamente modificare il terreno di battaglia. È come se, a differenza di Obama, a Biden manchi proprio un messaggio da veicolare.

In ultima analisi: ritenere la comunicazione il cavallo vincente è un errore, pensare che se ne possa fare a meno, invece, non perdona; e la comunicazione non è di certo l’unico aspetto su cui Biden deve dimostrare di essere all’altezza.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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