Volevate l’occasione per fare in modo che qualcosa, in questo Paese, cominci a «non essere più come prima» in meglio e non in peggio? La manifestazione convocata il 2 giugno dai leader del centrodestra potrebbe essere quella giusta, a patto che cambi immediatamente pelle, aprendosi a tutta quella maggioranza più o meno silenziosa che non è più disposta a tollerare in silenzio le incapacità e le iniquità di questo governo.
Penso a movimenti politici come Azione di Carlo Calenda, ma anche a tutti i corpi intermedi, che rappresentano meglio di chiunque le categorie economiche e sociali che tengono letteralmente in piedi l’Italia e che, dinnanzi al disastro di aiuti insufficienti o addirittura inesistenti, devono avere l’opportunità di liberare l’urlo di protesta che da settimane gli si strozza in gola.
Imprenditori, operatori sanitari e turistici, lavoratori autonomi e dipendenti, artigiani, commercianti, ristoratori, addetti al mondo dello spettacolo e dello sport, famiglie: tante piccole proteste a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale si possono far passare in secondo piano o addirittura vietare, una grande manifestazione che si sviluppa in ogni piazza d’Italia no.
Penso anche alla risorsa più grande e al tempo stesso meno ascoltata e considerata: i nostri giovani, quindi studenti delle scuole superiori, universitari, lavoratori precari o semplicemente in cerca di occupazione. Ragazze e ragazzi meravigliosi, positivi, pieni di energia, sogni e voglia di realizzarli.
Quanto avremmo bisogno delle loro idee e del loro entusiasmo! Ho la fortuna di averci a che fare quotidianamente per lavoro, e posso tranquillamente affermare che sono di gran lunga più positivi loro per noi “adulti” che non il contrario.
La drammaticità del momento rende necessario un ritorno alla partecipazione nel mondo e nelle piazze reali, ed è bene che l’intera classe politica prenda atto che in questa fase o si rimettono al centro le persone anche ripristinando diritti fondamentali come quello a esprimere liberamente le proprie opinioni e realizzando riforme che riducano la distanza tra cittadini e politica, o altrimenti si mette a rischio la tenuta democratica del paese.
Non si possono tenere milioni di persone in un limbo e ipnotizzarle agitando l’esca di aiuti promessi ma che non arrivano mai. Non si può continuare a chiedere sacrifici con una mano e schivare ogni responsabilità con l’altra. Non è possibile pensare che il dibattito politico possa nascere e morire tra Facebook, Twitter e se va bene Rousseau. Non è più pensabile orientare il proprio agire politico in funzione del consenso e non di ciò che è giusto.
Per molto tempo tutto questo è stato possibile, ora non più. Adesso c’è bisogno di concretezza e sì, la sparo grossa: anche di politica, ma quella vera, che abbia il coraggio e la capacità di farsi carico di governare lo snodo epocale che stiamo attraversando e che comprenda che la digital disruption è un’opportunità e non una schiavitù.
Al netto di queste, che sono le basi universali, che dovrebbero valere cioè per tutti indipendentemente dal colore politico, viva le differenze tra chi la pensa in un modo e chi in quello diametralmente opposto. Per chi non l’avesse ancora capito, qui c’è in gioco molto di più che l’interesse dell’una o dell’altra fazione politica e, se vogliamo superare indenni la tempesta che si è abbattuta sulle nostre vite, dovremo sostenerci l’un l’altro.
A cominciare dal 2 giugno, nella speranza che in futuro possa essere ricordato come il giorno in cui la Repubblica nacque due volte.