Sono in molti a preconizzare, per gli anni del post-pandemia, una sorta di de-globalizzazione, un’evoluzione naturale e per certi versi anche positiva: imparata la lezione, gli stati occidentali fanno di necessità virtù e “stimolano” le proprie aziende a riportare la produzione in patria, penalizzando a suon di tasse chi si rifiuta.
Risultato: posti di lavoro, ripartenza dell’economia e fine della dipendenza dalla Cina, sia in termini geopolitici, sia di approvvigionamenti. È bastato un mese di blocco per dimostrare come su alcune tipologie di merci oramai abbiamo perso qualsiasi margine di manovra: alcuni prodotti costa talmente meno produrli lì, da costringere molte fabbriche di casa nostra a gettare la spugna chiudendo la produzione.
D’altra parte è impossibile competere con un paese, la Cina, dominato da un regime dittatoriale comunista malvagio, repressivo e fondato sul lavoro in condizioni di semi-schiavitù, senza lo straccio di un diritto e per stipendi da fame. Senza considerare la mole di spese in più che le aziende devono sostenere in occidente per pagare tasse, burocrazia e mettersi “a norma” dal punto di vista igienico, della sicurezza e del rispetto dell’ambiente.
Ovvio che non ci sia partita, no?
Se, poi, come è avvenuto alle nostre latitudini nei primi anni 2000, una classe politica trasversalmente corrotta si è voltata dall’altra parte lasciando che la Cina ci invadesse con i suoi prodotti scadenti e a basso costo, abbiamo il quadro completo della situazione.
Il problema è che, sotto sotto, i governi che vanno a braccetto col regime comunista cinese (tra i quali figura, ahinoi, anche il nostro) pare stiano facendo di tutto per accelerare ulteriormente il processo di globalizzazione, svendendoci definitivamente alla Cina.
Aziende e attività commerciali lasciate agonizzare e quindi fallire, per poi essere rilevate per quattro soldi dagli speculatori cinesi o cumunque stranieri (quando non dalla malavita organizzata) che, magari, per altri quattro soldi riassumeranno come dipendenti gli stessi (ex) imprenditori che le hanno costruite che, ovviamente, saranno anche tenuti a dire grazie. Cinesi e mazziati, insomma.
A pensarci oggi, è impossibile non osservare come la situazione scaturita dal virus che ha infestato il mondo partendo da Wuhan – sul come, nonostante il regime abbia distrutto le prove, ne vedremo preso delle belle – possa mettere la Cina in posizione di grande vantaggio qualora l’Occidente non faccia quadrato oppure, peggio ancora, nel caso i cui venga svenduto da una classe dirigente al soldo delle grandi corporation che hanno tutto l’interesse a mantenere le proprie produzioni in Cina e, contestualmente, livellare sempre più verso il basso il costo del lavoro dei lavoratori occidentali.
Al netto della pericolosità del Covid-19, il clima di terrore che è stato creato ah hoc in questi mesi costituisce l’ambiente perfetto per infettarci con un virus ben più subdolo e grave, ovvero quello della sostanziale annessione al regime comunista cinese.
Per ulteriori informazioni rivolgersi a Hong Kong.
Che dio ce ne scampi.