Volendo scrivere di privacy mi è tornato in mente il tragico caso di Tiziana Cantone e, mentre pensavo se avessi realmente qualcosa da dire che ancora non si fosse detto, l’inconscio mi ha passato un link apparentemente insensato, mettendo uno di fianco all’altro i volti di Tiziana e Edward Snowden. Sta di fatto, però, che appuntai i loro nomi sul mio quaderno. Trovo che scrivere ciò che ci passa per la testa, in un certo senso equivalga a tirarlo fuori dai nostri pensieri e portarlo nel mondo reale, un po’ come aveva imparato a fare Nancy con Freddy Krueger.
Tempo qualche secondo, ed ecco un altro link, il (magnifico) preambolo della Costituzione americana: “We the People”. Anche questo segnato sul quaderno, insistendo più volte su ogni lettera, cosa che mi piace fare per rimarcare – appunto – una parola o un concetto che mi piacciono particolarmente.
Poteva mancare il terzo link? Certo che no, stavolta arrivato grazie a una mia vecchia foto, scattata quando avevo suppergiù dieci anni: indice puntato contro l’obiettivo, la mia espressione di sempre, capello folto. Sembravo appena uscito dai Goonies. Ebbene, quello scatto mi ha fatto riflettere su come ce la passavamo, nel bene e nel male, quando ancora non c’era Internet.
Vabbè, e quindi? Vi starete giustamente domando. Da questo mio brainstorming solitario è nato un logo che sintetizza alla perfezione la mia idea dei grandi pericoli del Web, o meglio, degli umani che ne fanno uso. Mi spiego: se usata correttamente, la Rete è un’opportunità grandiosa grazie alla quale abbiamo anche durante la pandemia abbattuto le distanze e condiviso esperienze e sapere, ovviamente al netto dei pericoli riguardanti la privacy portati alla ribalta da Edward Snowden.
Anche la politica o le religioni, dal punto di vista squisitamente teorico, dovrebbero essere esclusivamente orientate al bene delle persone, eppure, essendo praticate da umani, in molti, troppi casi vengono utilizzate per perseguire interessi parziali, spesso dividendo i popoli.
Internet, politica e religione altro non sono che la proiezione di ciò che noi umani siamo, è evidente perché, se così non fosse, vivremmo in un mondo scevro da fenomeni come il terrorismo, la corruzione e la pedofilia, giusto per citare i primi esempi che mi vengono in mente.
In virtù di questo ragionamento, affermare che il problema sia la Rete, equivale ad addebitare le morti stradali alle automobili e non a chi le guida.
Personalmente non m’interessa nemmeno commentare il fatto che Tiziana si sia fatta filmare mentre faceva sesso – ridicolo e bigotto chi finge di scoprire solo ora un fenomeno diffusissimo da decenni – perché, in tutta questa tragica vicenda, il fatto è un altro, ovvero che un manipolo di minus habens (begli amici!) lo abbia deliberatamente messo in Rete, ovviamente senza il consenso della ragazza.
Questo è il percorso che mi ha portato dritto a “We the People”, noi il popolo, spingendomi a coniugarlo con l’approccio troppe volte errato che abbiamo con il Web. Così, ho trovato naturale aggiungere la lettera “b” a We e, cancellandola con una “X” rossa, significare che dovremmo tutti essere un po’ meno Web e un po’ più We ché, in fin dei conti, è l’unico modo per normalizzare il nostro rapporto con quello che, per quanto totalizzante per natura, rimane un mezzo, non certo il fine.
Ecco, ritengo che tracciare questa linea di demarcazione sia un’operazione essenziale, oltre che per noi stessi, anche per approcciarci in maniera più obiettiva, e quindi significativamente più proficua, a uno strumento che, a seconda di come viene utilizzato, puo’ determinare il successo o l’insuccesso di ciò che facciamo, tanto nel lavoro, quanto nella vita.