Se, anziché superarla, la realtà si fondesse con l’immaginazione? Oppure, se l’immaginazione fosse un mezzo attraverso il quale aprire occhi e menti relativamente a una realtà altrimenti impossibile da accettare proprio perché più assurda dell’immaginazione stessa?
Per quanto possa sembrarvi contorto, dovrete sforzarvi di seguirmi in questo ragionamento, perché è fondamentale per comprendere il fenomeno di cui oggi noi di Orwell.live cominciamo a parlarvi, quello di QAnon.
Realtà e immaginazione. Già. Come qualcuno di voi saprà, nel 2016 mi candidai alla Casa Bianca, utilizzando il Web e scatenando un discreto casino, ergo, qualche argomento in merito ritengo di averlo.
Poi, dopo aver seguito tutta la campagna come inviato negli USA fino al giuramento di Trump, lo scorso anno andai a Kiev per realizzare un reportage su un’altra campagna elettorale improntata sul rapporto tra realtà e immaginazione, quella che incoronò Volodymyr Zelensky a presidente dell’Ucraina dopo che lo era già stato da protagonista di una fiction televisiva.
Per capirci, un po’ come se Kevin Spacey, dopo la sua immensa performance da protagonista di House of Cards fosse diventato davvero presidente degli Stati Uniti.
Ecco, occupandomi di comunicazione oltre che di informazione, posso garantirvi che le campagne elettorali stanno alla comunicazione come la Formula 1 al mercato delle automobili: avendo a disposizione soltanto un risultato utile, cioè la vittoria, vengono dispiegate risorse tali da consentire di andare sempre oltre l’ordinario, scoprendo strumenti nuovi che torneranno poi utili anche in ambiti diversi dalla comunicazione politica.
Giusto per fare due esempi veloci, nel 2008 Obama fu il primo a utilizzare efficacemente il Web e in particolar modo la profilazione degli utenti, mentre nel 2016 Trump vinse introducendo il concetto di comunicazione orizzontale, che gli consentì di bypassare i “filtri” costituiti dai media tradizionali (verticali).
In questo disgraziato 2020 l’elemento disruptive è certamente costituito dall’esercito di Q, un fenomeno partito nell’ottobre del 2017 dagli Stati Uniti, che oggi conta decine di migliaia di seguaci in tutto il mondo.
Inutile dire che i media mainstream si siano subito affrettati a derubricarlo a “teoria cospirazionista di estrema destra”, guardandosi bene dall’andare oltre la superficie, come peraltro invitano a fare gli stessi attivisti che, sul sito Qanon.it, alla fine di ogni capitolo della loro teoria scrivono a caratteri cubitali «non considerate quello che avete letto come vero al 100%, ma fate le vostre ricerche e arrivate alle vostre conclusioni. Scavate in cerca della verità. Non è più tempo di accontentarsi di “verità” preconfezionate da altri».
Siccome noi adoriamo scavare alla ricerca della verità e stiamo agli antipodi di chi cerca di assoggettarci al giogo del politicamente corretto e del pensiero unico, da oggi cominceremo a raccontarvi QAnon analizzando, per voi, ogni singolo capitolo di un fenomeno che, come avrete modo di leggere, è diventato molto più di una semplice teoria.
L’utilizzo di uno strumento potente e fondamentale come lo storytelling per creare una realtà parallela apparentemente fantasiosa ma propedeutica affinché ci poniamo determinate domande, potrebbe davvero essere un ulteriore salto di qualità in termini di comunicazione.
Alla base ci sono il nostro ruolo di ingranaggi nel meccanismo del modello di società attuale e quello del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha assunto la funzione della sabbia capace a farlo inceppare oltre che incazzare.
Come al solito vi racconteremo i fatti per quelli che sono, scavando alla ricerca della verità “vera”, senza mai fermarci a quella ufficiale. Altrimenti non avremmo scelto di chiamarci Orwell.