Abbiamo trascorso gli ultimi 27 anni aggrappati alla speranza in qualcosa che ha sempre lasciato l’amaro in bocca per ciò che poteva essere e non è stato: il centro-destra italiano. Generazioni intere sono cresciute all’ombra del vorrei ma non posso, del perpetuarsi di un irrisolto politico che col passare dei lustri si è materializzato in fatto oggettivo del quale, alla luce del cambiamento epocale che stiamo vivendo, i protagonisti dovrebbero prendere finalmente atto.
Il cambiamento al quale mi riferisco non è quello derivante dalla pandemia, ma il nuovo bipolarismo che, su scala globale, ha sostituito la vecchia dicotomia destra-sinistra con uno scenario nel quale si configura lo scontro tra chi rappresenta le istanze del popolo e chi, invece, fa gli interessi dell’establishment.
Lo ha spiegato benissimo il personaggio che più di ogni altro ha favorito la nascita di questo nuovo contesto, quello Steve Bannon che nel 2016 diede anima e cuore al nascente trumpismo, riempendolo di quegli stessi valori che abbiamo ascoltato anche alle celebrazioni del 4 luglio nel suggestivo discorso che Trump ha tenuto ai piedi del Monte Rushmore.
Da quel 1993 in cui prendeva le mosse il centro-destra 1.0 è cambiato tutto: l’euro, l’11 settembre, il Web, la globalizzazione, la crisi economica del 2008 e ora anche lo stramaledetto Covid-19. In mezzo, politicamente, la coalizione tradizionalmente guidata da Berlusconi si è costantemente involuta, anche quando pensava (o diceva) di evolversi.
Inutile entrare nei dettagli, poiché non sarebbe sufficiente un’enciclopedia per elencare le opportunità buttate a mare: invertendo gli addendi, ossia i protagonisti, il prodotto non è mai cambiato. Una volta era Fini, l’altra Follini o Casini, poi Bossi, poi Berlusconi, Tremonti o Alfano: la verità – amara quanto vi pare – è che sui nodi centrali il centro-destra non è mai andato veramente d’accordo.
Prendiamo la situazione attuale: se oggi fossero al governo, Salvini, Meloni e Berlusconi si spaccherebbero in Parlamento su un tema fondamentale come il Mes che, non a caso, è stato letteralmente bandito dagli interventi della manifestazione di Piazza del Popolo.
Ma non basta, perché la visione è antitetica anche nell’approccio all’Europa e, attraverso di esso, alla battaglia identitaria da cui dipende realmente il destino dei nostri figli: ovvero quella per la riaffermazione di un Occidente forte delle proprie radici giudaico-cristiane che abbia la forza di smarcarsi dall’egemonia economica della Cina comunista che ci vorrebbe ridotti alla stregua di schiavi sottopagati e iper-controllati.
Questa è e sarà la madre di tutte le battaglie e, per quanto riguarda noi italiani, passa necessariamente dal recupero di quote ingenti di sovranità cedute a cuor troppo leggero ai burocrati di stanza a Bruxelles che, guarda caso, sono gli stessi da cui Berlusconi e i suoi seguaci intendono continuare a dipendere.
Non è questa la sede per dire cosa sia giusto o sbagliato ma, molto più banalmente, per limitarci a osservare che si tratta non di semplici posizioni, ma bensì di visioni che stanno diametralmente agli antipodi e sulle quali i punti di incontro non esistono e, come abbiamo visto in passato, le convergenze parallele nella migliore delle ipotesi non funzionano.
Allora, e qui mi rivolgo a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, memori delle tante occasioni gettate al vento in passato, riflettete e pensate se valga davvero la pena riproporre uno schema “innaturale” o se, piuttosto, sia il caso di costruire attorno ai vostri due partiti un fronte sovranista finalmente libero dall’autocondanna agli accordi al ribasso che sono il male endemico della nostra storia repubblicana.
Vero, quando ci concederanno la possibilità di tornare alle urne bisognerà raggiungere il 51% dei voti, ma sarà comunque più facile lavorando sin d’ora a una piattaforma di governo basata su coerenza e coesione tra due soggetti complementari come Lega e Fratelli d’Italia, piuttosto che su accordi forzati con i forzisti.