Esistono momenti per correre, altri per tirare il fiato e altri ancora per allenarsi al fine riuscire ad andare oltre noi stessi. Quelli che ci siamo lasciati alle spalle sono mesi che hanno ridisegnato incontrovertibilmente il quadro della realtà in cui viviamo: oggi, che ci piaccia o meno, siamo tutti protagonisti di un mondo diverso rispetto a quello che abbiamo lasciato prima del lockdown.
Per alcuni aspetti è come se fossimo saliti su una macchina del tempo che ci ha portati dritti al “dopo”, ovvero la fase successiva a quella a cui, tra alti e bassi, eravamo tutti abituati: fino a prima del Covid eravamo i «figli di mezzo della storia» descritti da Chuck Palahniuk nel memorabile monologo del protagonista di Fight Club, quelli senza «né uno scopo né un posto» e «né la Grande Guerra né la Grande Depressione», mentre oggi la nostra guerra ce l’abbiamo eccome e la dobbiamo vincere sapendo che le regole d’ingaggio sono cambiate.
Il mondo a cui eravamo abituati è diventato il “prima” e non tornerà mai più.
Starà a noi decidere se vivere il “dopo” da protagonisti oppure se subirlo passivamente, consapevoli che la prima ipotesi presuppone che dovremo essere bravi a prendere il buono ma anche a capire quali sono gli elementi da scartare. Certo è che, se ci lasceremo travolgere dagli eventi, saranno poi altri a decidere in nome e per conto nostro.
Parliamo di opportunità sensazionali in termini di lavoro, che per molti aspetti stiamo già reinventando e riplasmando e, parimenti, di questioni oggettivamente enormi quali la privacy, il concetto di proprietà dei dati, quello del nostro gemello digitale, la digitalizzazione dei processi democratici e partecipativi e le sfide culturali che si stagliano all’orizzonte del 3 novembre, giorno in cui si voterà negli Stati Uniti d’America.
Insomma, come avrete capito stiamo già lanciando il nostro sguardo oltre il “dopo” e oltre Orwell, fermo restando che molto presto ci andremo insieme.