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Smart-working = Smart-growing?

Con le misure di emergenza emanate per contrastare la pandemia in atto in tutto il mondo, si è iniziato a parlare, in maniera sempre più pressante, di smart-working e dei suoi effetti nella filiera produttiva del paese.

Con le misure di emergenza emanate per contrastare la pandemia in atto in tutto il mondo, si è iniziato a parlare, in maniera sempre più pressante, di smart-working e dei suoi effetti nella filiera produttiva del paese.

Spesso, ascoltando i telegiornali o i radiogiornali, si sente discutere di come il lavoro da casa, per evitare spostamenti e assembramenti laddove possibile, stia cambiando le abitudini degli italiani e delle criticità che questo sta generando in interi settori economici quali i trasporti o la ristorazione.

È indubbio che la massa di lavoratori, oggi, operante in remoto non viaggi più o, per lo meno, lo faccia in maniera assai limitata, colpendo il trasporto pubblico per l’emorragia di abbonamenti non rinnovata dai pendolari, e la ristorazione di bassa fascia che sta perdendo gli incassi del mezzogiorno, delle pause pranzo che, inevitabilmente, chi stia lavorando da casa farà al proprio domicilio.

L’allarme lanciato dagli operatori è piuttosto rumoroso indicando nello smart-working il principale responsabile, ancor più delle norme sul distanziamento e sulla sanificazione dei locali, del crollo degli incassi.

Ma è veramente così?

Prima di tutto va fatto un passo indietro per capire cosa sia questo smart-working (o lavoro agile nella dizione giuridica italiana) e cosa questo possa comportare veramente e, soprattutto, se sia un’opportunità rivoluzionaria o un elemento di crisi ulteriore.

Il punto base, da tener conto, è che di smart-working, alla fine, se ne è visto molto poco, la soluzione adottata dalla maggior parte delle aziende della Penisola e dai lavoratori è quella del telelavoro che è piuttosto diverso.

Quest’ultimo è una forma di prestazione lavorativa a domicilio o da sedi remote che nasce all’indomani della rivoluzione informatica di fine anni 90 del secolo scorso che, indubbiamente, comporta grandi vantaggi organizzativi e di riduzione dei costi per le aziende ma che è molto rigido nell’applicazione (fosse anche solo peri limiti orari imposti alla prestazione di lavoro e all’adibizione della sede lavorativa) e, alla fine, alienante per il lavoratore che si trova chiuso in solitudine nel luogo adibito a sua postazione senza alcuna elasticità organizzativa e di orario.

Molto diversa la previsione del lavoro agile, il vero smart-working, che è stata normata solo nel 2017 e ha cominciato ad essere prevista nei Ccnl solo dai rinnovi dello scorso anno.

La vera differenza tra il telelavoro e il lavoro agile si racchiude nella parola “flessibilità” perché mentre la prima fattispecie, come già accennato, è estremamente rigida, fosse anche solo per la fissazione della sede di lavoro, la seconda non prevede alcun tipo di sede fissa, che può essere il proprio domicilio, i locali appositi dell’azienda (solitamente sedi di coworking, quindi open space adibiti a sede di lavoro comune e privi di postazioni fisse o di uffici personali) o in mobilità.

È evidente che pensare a un sistema di smart-working comporti una seria ristrutturazione organizzativa delle aziende che lo adottino perché il classico schema verticale, basato su un modello piramidale decisionale, non è più attuabile ma occorra dirigersi verso un sistema orizzontale dove ogni operatore, di qualsiasi livello di responsabilità sia investito, sia connesso in rete con tutti gli altri per avere un continuo interscambio di informazioni.

Lo stesso concetto di obbligo di tempo per la prestazione lavorativa verrebbe meno, orientandola verso un sistema per obiettivi permettendo una maggiore flessibilità organizzativa personale e consentendo, in prospettiva, di migliorare quel work-life balance (che altro non sarebbe che la conciliazione tra lavoro e vita privata) che è sempre più presente nei discorsi e negli accordi relativi al welfare aziendale.

Di qui, ovviamente, la prospettiva che l’adozione diffusa di modelli di lavoro agile rappresentino più un’opportunità che una criticità.

Si tratta, in definitiva, di un elemento di discontinuità nell’organizzazione del lavoro che potrebbe portare a una rivoluzione nella struttura del modello economico e nella sostenibilità, anche ecologica, dell’azione umana.

Dell’argomento si è occupato in più riprese Marco Bentivogli, ex segretario generale della Fim-Cisl, che sull’argomento ha scritto anche un libro “Indipendenti, guida allo smart-working” il quale ha affermato che il futuro del lavoro sia un foglio bianco da scrivere.

Qui si concentra tutto il discorso.

Nessuno, oggi, può prevedere a cosa si andrà incontro domani, come nessuno poteva prevedere a cosa avrebbe portato la rivoluzione industriale con l’avvento della macchina a vapore.

I seguaci di Ned Ludd tentarono di bloccare il processo di evoluzione delle aziende, fallendo, e la storia dimostrò quanto le loro posizioni fossero fallaci, probabilmente anche chi teme sconquassi dall’applicazione organica del telelavoro riceveranno la stessa risposta ma ci ragioneremo un’altra volta.

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