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Politica

Declino a 5 Stelle: eutanasia di un amore

Citando il titolo di un film diretto da Enrico Maria Salerno (peraltro a mio parere nemmeno particolarmente riuscito), potremmo analizzare la crisi in atto tra Davide Casaleggio e parte del “movimento” nato dall’intuizione del padre Gianroberto, come l’eutanasia di un amore.

Citando il titolo di un film diretto da Enrico Maria Salerno (peraltro a mio parere nemmeno particolarmente riuscito), potremmo analizzare la crisi in atto tra Davide Casaleggio e parte del “movimento” nato dall’intuizione del padre Gianroberto, come l’eutanasia di un amore.

Infatti, il braccio di ferro che vede contrapposti, da una parte, l’erede al trono della Casaleggio Associati (eDeus ex machina della piattaforma Rousseau), Alessandro Di Battista più alcuni “puri” della prima ora e, dall’altra, il folto gruppo di coloro che scorgono all’orizzonte la possibilità di cambiare pelle al Movimento 5 Stelle per trasformarlo in un vero e proprio partito, potrebbe produrre scenari, fino a pochi anni fa, impensabili.

Al di là del polverone suscitato dal post scritto da Casaleggio sul “Blog delle stelle” e del malumore esploso tra gli aficionados, a colpire è soprattutto la reazione a catena che ha coinvolto uno dopo l’altro tutti i big pentastellati.

Un tutti contro tutti, insomma, che sembra volto a dilapidare l’enorme consenso popolare, nato sì da un “vaffanculo”, ma capace di tradursi, negli anni successivi, in clamoroso successo elettorale.

Quali sono i motivi, però, capaci di sgonfiare il Movimento come un soufflè, portandolo dal 32% (sia alla Camera sia al Senato) delle ultime politiche del 2018 al 15% in cui si assesta negli ultimi sondaggi?

Che cosa ha dimezzato “la valanga del consenso”[1] teorizzata in tempi non sospetti da Gianroberto Casaleggio?

Sorprende, e non poco, lo stupore manifestato sia da Casaleggio junior sia da Di Battista, nei confronti del tentativo di trasformare, anche per garantire una maggiore solidità organizzativa, Il Movimento 5 Stelle in un partito. Pensare di governare un Paese come il nostro, storicamente polemico, diviso e terreno fertile per i voltagabbana, a suon di “vaffa” si è rivelata una scelta illusoria e alla luce dei fatti poco lungimirante.

D’altro canto, l’innovativo proposito di aprire i Palazzi come scatolette di tonno ha presto lasciato il passo al fascino indiscreto, prima sconosciuto e rifiutato, del potere. Un richiamo tanto seducente quanto irrinunciabile.

Questi inconvenienti càpitano spesso, e non solo ai grillini sia ben inteso, quando si viene a contatto con il Sistema, l’oscuro e incantatore potere costituito, una macchina infernale in grado di assorbire e disinnescare ogni velleità rivoluzionaria.

Solo così si può spiegare il “bilinguismo” politico con cui il Movimento, di lotta e di governo, si è scollegato dal proprio elettorato.

Ingiustificate giravolte che chiaramente non riescono a motivare, per esempio, il passaggio dal sostegno ai No Tav, al via libera deciso dal Governo Conte nell’estate del 2019, che un senatore pentastellato ha definito, con un poetico francesismo, “Giornata di me…”.

Oggi i 5 Stelle, fiaccati dalle divisioni interne, dai veleni e da una diffusa diffidenza che coinvolge anche i vertici, sono un partito sovradimensionato rispetto alla mutata realtà politica che emerge dall’ultima tornata elettorale.

Solo l’ombra sbiadita di un’effimera affermazione referendaria, comunque demagogica e inutile se non sorretta da un’adeguata legge elettorale, aiuta a proteggere come una foglia di fico (il riferimento è puramente casuale), le vergogne derivanti da una lunga serie di sconfitte.

Insomma, un brodino caldo che certo non riesce a tranquillizzare gli animi tormentati di un movimento in preda a una crisi di nervi.

Tuttavia, il colpo più duro l’ha subìto sicuramente Davide Casaleggio, imbufalito per le beghe interne e per le troppe creste che via via si sono alzate, in spregio del pensiero “filosofico” alla base della crescita dei 5 Stelle: quell’ allontanarsi cioè  dalla tradizione novecentesca dei partiti classici, che fino ad ora è stato davvero un “unicum” nel panorama dei paesi occidentali.[2]

Un doveroso applauso va al neo sindaco di Matera, Domenico Bennardi, eletto con un incoraggiante 67,54%.

In questo caso, però, il sostegno del Pd al ballottaggio è risultato determinante (come anche a Cascina, ma a parti invertite).

Al primo cittadino, uno tra i pochi a cantar vittoria, auguriamo buon lavoro nella speranza che possa ben guidare la sua comunità.

D’altra parte una lapidazione (politica s’intende) nella città dei Sassi, patrimonio dell’Unesco, sarebbe una catastrofe.

 

[1] Jacopo Iacoboni, “L’esperimento”, Editori Laterza

[2] Jacopo Iacoboni, “L’esperimento”, Editori Laterza

 

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