In un lungo excursus storico, abbiamo visto come l’idea che soggiace al termine, usato e abusato, di “neoliberismo” si basi sui fondamentali stessi della teoria economica e abbia come obiettivo la difesa del sistema di mercato e di concorrenza, giudicato allocatore di risorse ottimale e garanzia della libertà, anche politica, degli individui.
Il “mito nero” del neoliberismo ha sostituito quello relativo al capitalismo tout court dopo la caduta della “cortina di ferro” e con la vera apertura dei mercati avvenuta dopo la chiusura dell’Uruguay Round interno al GATT nel 1994 insieme al concetto di globalizzazione dei mercati
Oggi, con il termine, per me improprio, “neoliberismo” si indicano tutti quegli indirizzi economici che si pongano in contrapposizione con la vulgata keynesiana, che abbiamo visto non essere neppure coerente con il pensiero dello stesso Keynes, e con tutte le altre forme di economia mista o, addirittura, pianificata, come nel caso dei regimi al potere in Venezuela o Corea del Nord, ad esempio.
La cosa interessante è che questo nome nacque ancora prima della pubblicazione della Teoria Generale… di John Maynard Keynes, anche se fu solo nel 1938 con un convegno a Parigi in cui presenziarono anche personalità ben differenti fra loro, come Wilhelm Röpke, ideatore dell’idea di economia sociale di mercato, o Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, che non avrebbero bisogno di presentazioni come esponenti della corrente di pensiero “liberista”, che si ebbe per la prima volta un uso pubblico di “neoliberismo” come filone economico che si proponesse come “terza via” tra il laissez faire, incolpato di essere la causa della Grande Depressione, e il sistema pianificato collettivista.
Un po’ diverso da come lo si dipinga oggi, non è vero?
Complice una certa lettura del mondo sembrerebbe che ogni distorsione, ogni sacca di miseria, ogni crisi sia da imputarsi alle politiche neoliberiste.
Se la si volesse vedere come “terza via”, come nel senso originario ma anche in senso blairiano per dire, forse questa idea potrebbe anche avere un senso, perché la maggior parte delle crisi economiche nascono da eccessiva regolamentazione, impianti statali inefficienti, politiche economiche errate e via dicendo, mentre, contrariamente a quanto sostengano diversi story telling, primo fra tutti quello di Oxfam che, puntuale come uno Zenith, a ogni World Economic Forum di Davos ci descrive come sia aumentata la disuguaglianza nel mondo, sbagliando tutte le volte modello e tesi, è proprio dall’apertura dei mercati e dall’aumento della concorrenza che gli indici di povertà siano in regressione ovunque.
La questione del rapporto di Oxfam è emblematica, poiché è sventolato come una bandiera da tutti coloro che attacchino il sistema di mercato, di volta in volta indicato come “capitalismo” o “neoliberismo” che dir si voglia, poiché come accennato poco fa questo è non solo operativamente ma anche concettualmente errato.
Il rapporto si basa sul Global Wealth Databook di Credit Suisse che analizza la concentrazione della ricchezza netta nel mondo: in pratica un report sul merito di credito e non sull’effettiva distribuzione della ricchezza poiché si va a valorizzare la differenza tra le attività e le passività esistenti come se, in un momento x si decidesse di azzerare completamente i propri debiti.
Difficile?
Proviamo a spiegare la cosa con un esempio: se un soggetto avesse un patrimonio liquido di 100 e un mutuo sulla casa di proprietà (quindi tecnicamente ancora non completamente inserita nel conteggio del patrimonio) di 110 la sua risultante netta sarebbe di -10 eppure, palesemente, le sue risorse sarebbero ben superiori rispetto a chi avesse un patrimonio complessivo di 5 ma non avesse debiti che, però, risulterebbe più ricco secondo il modello adottato da Oxfam.
L’aumento dell’indebitamento della popolazione, come previsto dalle norme di Basilea sulla stabilità creditizia, indica solo che sia aumentato il merito di credito e la capacità di spesa delle persone (poi esiste la questione del sovraindebitamento ma qui si aprirebbe un altro ampio discorso) dovuto a una crescita almeno a livello reddituale.
La misura della concentrazione è calcolata in statistica con un indice detto “di Gini”, dal nome di Corrado Gini che lo ha introdotto, e, in effetti, mediamente questi sono in diminuzione sin dagli anni ’60 del secolo scorso, se pur con una lieve crescita negli ultimi anni a seguito della crisi economica innescata dal crollo di Lehmann Brothers, come ha più volte indicato anche un economista non certo “liberista” come Branko Milanovic.
La cosa interessante è che questa riduzione coincida con la progressiva apertura dei mercati al commercio internazionale seguendo i vari round del GATT, quindi con minori barriere di accesso, minori dazi, maggiore concorrenza e, per contro, una maggiore libertà di movimento e di lavoro in buona parte del mondo.
Questo cos’è se non lo spirito del “neoliberismo” più volte indicato come origine di ogni male?
Per onestà intellettuale, però, occorre anche indicare che di veramente “liberista” si sia visto molto poco nel corso degli anni, se non nelle intenzioni di alcuni governanti; la RealPolitik, come la definiva Kissinger, ha limitato quasi ovunque la completa apertura dei mercati a sistemi veramente concorrenziali mentre una certa retorica, raramente proveniente dagli economisti, ha additato il “neoliberismo” come la retrocessione dello stato verso l’idea del “tutto privato” per giustificare un crescente interventismo della mano pubblica in economia; questo anche se nemmeno Mises o Hayek abbiano mai inteso un sistema economico basato solo sull’attività privata ma ipotizzassero un sistema dove ogni operatore agisse in un sistema di mercato, in pratica non si escludeva lo stato imprenditore ma solo se inserito in un sistema concorrenziale e senza privilegi.
In definitiva, il “neoliberismo” è oggi un cappello immaginario per indicare il nemico che, per una certa destra così come una certa sinistra, si annida nel concetto stesso di mercato e di concorrenza dimenticando che, come disse Eugen von Böhm-Bawerk in tempi non sospetti “Un mercato è un sistema giuridico, in assenza del quale l’unica economia possibile è la rapina di strada.”.