Il confine tra buonsenso e negazionismo è ormai svanito, come se fosse stato tracciato con un dito sul bagnasciuga della nostra libertà d’opinione. Così, anche l’ennesimo Dpcm dato in pasto ai media prima di averlo approvato e annunciato, viene dipinto come una sorta di Moloch al cui cospetto dovremmo tutti chinare il capo e sacrificare presente e futuro dell’Italia (perché di questo si tratta) per sopravvivere al virus cinese.
La centralità della comunicazione
Sono dettagli, ma fanno la differenza. Cominciamo dalla chiusura di bar e ristoranti alle 18: la maggior parte dei media mainstream danno la notizia aggiungendo che, però, potranno rimanere aperti anche la domenica (sempre fino alle sei di sera). Capirai che “concessione”, eppure si tratta di un puro espediente per addolcire una decisione amarissima, che penalizza un settore trainante per la nostra economia che era già stato messo in ginocchio dal lockdown.
Per non parlare, poi, di un’altra frase destinata a rimanere scolpita nelle tavole dei comandamenti di Giuseppe Conte: quel «sono già pronti gli indennizzi», che troverà posto di fianco a veri propri capolavori come la potenza di fuoco degli aiuti (mai arrivati) alle imprese e all’è tutto sotto controllo con cui il 4 febbraio scorso rispose a brutto muso ai governatori che gli chiedevano misure stringenti contro il virus.
Se la cura è peggiore del male
Partiamo dal contesto: la rivoluzione digitale ci ha connessi gli uni agli altri attraverso il Web che, a sua volta, ha contribuito a ridurre le distanze rendendo molto più semplice e accessibile spostarci da un capo all’altro del mondo. Tutti noi abbiamo viaggiato più dei nostri genitori, ma non è detto che i nostri figli viaggeranno più di noi.
Ora che le restrizioni sono tornate, gran parte della nostra socialità tornerà a svolgersi nella dimensione digitale, ovvero online: passeremo molto più tempo connessi, per svago e per lavoro. È un fatto.
Ciò significa che saremo sempre più controllati e manipolabili, ergo, che la nostra quota di indipendenza e libertà individuale continuerà inesorabilmente a calare, un po’ come l’energia del protagonista di un videogame.
Si dà il caso che oltre alla barretta della libertà, si stia svuotando anche quella dell’energia: è drammaticamente oggettivo che lo tsunami economico non toccherà soltanto le categorie chiamate in causa direttamente da questo Dpcm, poiché una depressione generale è sempre foriera di un calo dei consumi che, tradotto, significa perdita di posti di lavoro e allargamento della soglia di povertà.
Purtroppo, nei mesi scorsi sono stati letteralmente buttati dalla finestra 100 miliardi che, anziché essere spesi per abbattere cospicuamente la pressione fiscale per imprese e famiglie, sono stati distribuiti a pioggia secondo la peggiore delle logiche assistenzialiste degli “una tantum”, per non parlare dei bonus per i monopattini e dei banchi con le rotelle.
Si parla tanto di trasporto pubblico, ma ci fosse stato qualcuno che abbia pensato di coinvolgere i privati: in un sol colpo avrebbero abbassato la soglia di rischio per milioni di persone e si sarebbero aiutate aziende che arrivavano da una stagione disastrosa. Niente.
In un quadro simile, proteste come quelle di Milano, Napoli e Roma sono destinate ad allargarsi a macchia d’olio, con conseguenze imprevedibili per la tenuta democratica del paese; manifestazioni che sono anche la conseguenza di un sistema politico sempre meno rappresentativo e più autoreferenziale.