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Dopo l’acquisizione di Banca AntonVeneta furono messe in atto delle operazioni finanziarie straordinarie per coprire i costi ed evitare l’azzeramento dei dividendi nel corso degli anni. Queste furono alla base dello sconquasso dei bilanci della Banca, cosa che la portò sull’orlo dell’insolvenza e alla nazionalizzazione.
Come abbiamo visto la crisi della banca ebbe origine, oltre che da una gestione non esattamente prudenziale dei crediti (ma certe banche popolari fecero molto peggio come la storia recente ricorda, va sottolineato), da Alexandria e Santorini, le due operazioni finanziarie messe in piedi con Deutsche Bank e Nomura per occultare il costo e le minusvalenze generate dall’acquisto di Banca AntonVeneta da Santander.
A questo si deve aggiungere la quota di titoli di stato mantenuti in portafoglio in quota anche doppia rispetto alle altre banche italiane, escamotage per ottenere dei margini superiori visti i tassi che questi pagavano, e, con la crisi del debito sorta verso la fine del Governo Berlusconi nel 2011, questo provocò un grave problema a livello di bilancio per via degli accantonamenti supplementari da prevedere vista la crescita del rischio sui bond italiani.
La nuova gestione dell’istituto, a guida di Alessandro Profumo, verificò e quantificò le componenti in perdita degli attivi facendo emergere perdite, finora occultate, per oltre 700mln di euro cosa che innescò un ciclo vizioso di criticità irreversibili che fu bloccato solo con l’intervento diretto del Tesoro e la nazionalizzazione della Banca.
A parte gli strascichi giudiziari che la faccenda ha avuto, tra cui l’assurda condanna in primo grado a Profumo e all’ex a.d. Viola che guidarono l’istituto senese dal 2012 al 2015 e per cui la pubblica accusa aveva chiesto per ben tre volte l’assoluzione, sarà interessante capire cosa sarà della banca funzionante più antica al mondo.
Come già si era detto le politiche di crescita dimensionale portate avanti dal vecchio board guidato da Giuseppe Mussari faceva parte di una strategia volta a far concorrenza diretta ai due grandi italiani, Unicredit e Intesa SanPaolo, e l’acquisizione di AntonVeneta portò piazza Salimbeni a diventare il terzo gruppo italiano.
Oggi, ovviamente, le cose sono ben diverse.
Intesa è cresciuta ancora, dopo aver acquisito le insolventi Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, Unicredit ha indirizzato la sua crescita più verso l’estero che in patria, UBI Banca è cresciuta tanto prima di essere fusa, con un M&A quasi a sorpresa in Intesa qualche mese fa, la Banca Popolare di Milano e Banco Popolare si sono fusi in un unico soggetto, la francese Crédit Agricole, dopo CariParma, CariSpezia e Friuladria, ha assorbito anche Cassa di Risparmio di Rimini, Cassa di Risparmio di Cesena e Cassa di Risparmio di San Miniato e via di seguito.
Il Risiko bancario, volto alla razionalizzazione dello scacchiere del credito italiano, è ormai innescato e andrà avanti tra fusioni e acquisizioni: MPS, oggi, da realtà aggregante che avrebbe potuto essere prima è divenuta una preda possibile, poiché dopo tutti questi anni difficilmente potrebbe perseguire una strategia di stand alone.
Per poter arrivare, però, a un progetto simile l’istituto deve, però, fare pulizia negli attivi, cosa che già si è vista in questi anni da parte di vari istituti, anche con cure drastiche, per poter mettere in sicurezza il patrimonio, ed ecco perché a inizio ottobre l’assemblea straordinaria degli azionisti ha deliberato la scissione parziale della banca.
Coerenti con l’amore per l’antica Grecia, la nuova operazione chiamata Hydra, comporterà una scissione parziale non proporzionale del Monte dei Paschi di Siena a favore di AMCO (Asset Management Company), che sarà attuata mediante assegnazione a quest’ultima di un portafoglio di alcune attività (NPE, attività fiscali differite, etc.), passività e patrimonio netto della Banca con attribuzione ai soci della banca di azioni di AMCO di categoria B a fronte dell’annullamento di azioni ordinarie di MPS
Complicato?
In effetti detta così sì… in pratica viene creata quella che può essere definita una bad bank che verrà patrimonializzata e su cui si scaricheranno sofferenze, incagli e past due per lasciare la banca senese pulita e pronta per rilanciarsi o darsi in sposa e ai soci di minoranza, quindi diversi dal Ministero dell’Economia, sarà data facoltà di vedersi assegnate delle azioni di AMCO, di mantenere la partecipazione in MPS o il recesso… il tutto a fronte di costi stimati circa 32,63mln di euro per la banca.
Con questa operazione MPS migliorerà profilo di rischio passando il gross NPE ratio, cioè il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei crediti erogati, dal 12,4% al 4,3% e il Texas Ratio, cioè il rapporto tra la somma dei crediti deteriorati e la somma tra il patrimonio tangibile della banca e dei fondi di copertura crediti accantonati, dall’86% circa al 43% circa.
Nonostante il calo previsto del CET1 a regime, cioè del rapporto tra capitale versato, dalle riserve e dagli utili non distribuiti della banca e gli impieghi ponderati per il rischio, dal 12,7% all’11,1% (in ogni caso superiore al valore minimo richiesto dalla BCE, cioè il 10,6%), cosa che obbligherà un rafforzamento patrimoniale che, escludendo un intervento diretto del Tesoro come primo azionista, implicherà l’emissione di un bond subordinato Tier1, che si preannuncia piuttosto costoso e, forse insufficiente.
Facciamo una digressione, perché questi parametri sono così importanti?
Il gross NPE ratio va a indicare quanto pesino i crediti deteriorati su tutti i prestiti erogati dalla banca mentre il Texas ratio indica se l’istituto possa coprire il rischio di credito con i propri mezzi (patrimonio e reddito) oppure no, il valore limite è, ovviamente, 1 se quest’ultimo indicatore sintetico fosse compreso tra 0 e 1 allora la banca avrebbe la possibilità di gestire eventuali impagati con i propri mezzi, se, invece, fosse superiore a 1 allora il rischio che, in caso di crisi, possa attuarsi un bail in o, addirittura, giungere all’insolvenza diventa ben più elevato.
Il CET1 ratio, poi, è il principale indice di solidità patrimoniale, anche se va letto insieme ad altri indicatori come quelli sopra indicati, e indica con quali risorse un istituto di credito riesca a garantire i prestiti concessi ai clienti ed i rischi rappresentati dagli eventuali crediti deteriorati.
Tornando a MPS, però, l’operazione descritta risulta necessaria per pianificare l’uscita dello stato dal capitale della banca, così come indicato dalle autorità europee entro il 2021, e permetterne il ritorno sul mercato “pulita” dai crediti deteriorati, con un profilo di rischio sostenibile e, probabilmente, candidata sposa in una futura operazione di consolidamento del mercato italiano, magari con Unicredit, cosa di cui si parla spesso sui mercati, dove, a breve, l’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan diventerà presidente.
In questo modo scomparirebbe la banca più antica al mondo, con 545 anni di storia sulle spalle, nonostante sia sopravvissuta a guerre, pestilenze e disastri ambientali una gestione più politica che prudenziale è riuscita a metterla in ginocchio e, in pochi anni, a portarla da istituto primario in Italia a candidata preda di future aggregazioni, non certamente paritetiche.