Lo ammetto, faccio parte di un gruppo di persone che da giovani state contagiate da un virus per il quale non esiste cura o vaccino, infatti non sono mai guarito. Oltretutto nel nostro caso le mascherine non sarebbero servite a nulla, perché il virus si trametteva attraverso volantini fotocopiati e distribuiti in scuole e università, manifesti attaccati in spazi più o meno autorizzati e poi ancora, banchetti, manifestazioni in piazza, libri e financo musica.
Rigorosamente alternativa, come noi, che probabilmente rappresentiamo l’ultima generazione colpita prima di una serie di eventi che, guardati con gli occhi di oggi, sembrano tutti orchestrati per raggiungere l’obiettivo dell’immunità di gregge. Anzi, del gregge.
Una vera e propria impresa, realizzata da un esercito di esperti, i migliori in ogni campo: corrotti, corruttori, mistificatori, arrivisti, voltagabbana, yes man, nominati e, ciliegina sulla torta, il miraggio dei pentastellati, la cui esperienza di governo è una gigantesca nemesi che ci sta travolgendo tutti, indistintamente.
A pensarci bene quello della passione per la politica era un virus troppo pericoloso, la cui diffusione andava arrestata prima che accadesse l’irreparabile, ovvero lo scoppio di una pandemia i cui effetti sarebbero stati devastanti: militanza, partecipazione, coinvolgimento di territorio e corpi intermedi e financo, magari, meritocrazia e democrazia diretta.
Quando mi accorsi di essere stato contagiato non feci alcuna fatica a individuare il mio focolaio di riferimento, anche perché era rappresentato da una fiaccola.
Lo capii poiché manifestavamo tutti i medesimi sintomi: amore incondizionato per il Tricolore, senso dello Stato, rispetto e ammirazione per chi ci difende indossando una divisa, rifiuto totale di qualsivoglia forma di viltà o ipocrisia e tanta, tanta voglia di lottare in difesa di quella che per noi sarà sempre la Terra dei Padri.
Una generazione, la nostra, figlia del ’93 e degli smottamenti che c’illusero che una stagione nuova stesse davvero per sbocciare. Se fermiamo per un attimo le lancette del tempo ad allora, osservando con attenzione il fermo immagine ci rendiamo conto che la Comunità giovanile oggi conosciuta come “Generazione Atreju” è cresciuta in una sorta di Terra di Mezzo della storia: tra il crollo del Muro di Berlino e quello delle Torri Gemelle, tra Mani Pulite e il Bunga Bunga, tra Almirante e i Tulliani, tra il ciclostile e Facebook.
Abbiamo fatto in tempo a vivere il prima, ma siamo ancora abbastanza giovani per comprendere l’adesso e cercare di immaginare il dopo. A mio avviso – indipendentemente dalle correnti, dagli ex Colonnelli e dalle lotte più o meno intestine ad Azione Giovani e Alleanza Nazionale – il più grande merito di Giorgia Meloni è quello di essere riuscita a incarnare alla perfezione questa Comunità, esaltandone i pregi anche quando si è vista costretta a inglobarne i difetti e superando sé stessa perché in possesso dell’umiltà di imparare dai propri errori senza arrendersi mai.
Cioè il contrario di ciò che fece chi quella Comunità politica la dissolse nel modo peggiore, ovvero tradendone gli ideali.
A questo proposito ricordo un aneddoto accaduto durante il congresso di Bologna, correva l’anno 2002: Giorgia salì sul palco per fare il suo intervento in cui rivendicava più spazio per Azione Giovani e, non appena cominciò a parlare, un tizio grande e grosso seduto proprio dietro di me prese a borbottare ad alta voce «ma cosa volete voi giovani, pensate ad attaccare i manifesti e non rompeteci i coglioni!». Al che mi voltai e mi tolsi la soddisfazione di mandarlo platealmente a quel paese facendogli fare una figura decisamente pessima, ma mai meschina quanto quella che fece qualche anno dopo, quando lo arrestarono per corruzione.
Anche ora che Fratelli d’Italia gode del favore dei consensi, sono sicuro che Giorgia Meloni e le persone a lei più vicine non ripeteranno l’errore commesso da chi li ha preceduti e non si lasceranno quindi ammaliare dalle tante sirene di approfittatori e sabotatori ma, al contrario, si danneranno l’anima per mettere in pratica uno dei primi principi che imparammo da ragazzi, quando fummo contagiati: trasformare le idee in azioni.