L’Italia è una Repubblica democratica, divisa su tutto: andrebbe riscritto con queste parole l’articolo 1 della Costituzione, a cui si dovrebbe poi aggiungere che la nostra attitudine a farci del male è talmente forte e radicata nel nostro Io di italiani, da essere uscita perfino rafforzata dalla catastrofe-Covid.
Così come i ratti sarebbero tra i pochi superstiti di un conflitto atomico, allo stesso modo l’italica capacità di dividerci sopravvive per il semplice fatto che si nutre rovistando tra le interiora dei nostri istinti più bassi, tra cui l’invidia sociale.
Se mi chiedessero di individuare la causa principale dei mali atavici dell’Italia non avrei il benché minimo dubbio nel puntare il dito contro la nostra divisività, i cui sinonimi sono l’invidia, appunto, ma anche provincialismo, campanilismo e individualismo, cioè i prodromi della nostra incapacità di “fare sistema”, se non in casi estrema necessità, e comunque senza riuscire mai a imparare la lezione.
Uniti siamo usciti da una situazione difficile? Bene, ora che siamo sani e salvi torniamo pure a essere nemici come prima. Altrimenti non si spiegherebbe il livello così basso in cui continua a sprofondare una nazione come l’Italia che, in condizioni non dico eccelse ma quantomeno normali, tra le 5 nazioni più potenti e influenti al mondo dovrebbe starci in scioltezza.
In cosa ci dividiamo? Tutto. Tra imprenditori e professionisti dello stesso settore, tra chi abita in un comune e chi in un altro, tra classi: sociali e perfino di scuola, dove financo i genitori si dividono in fazioni. Poi, serenamente e pacatamente (si fa per dire), veniamo ai poteri dello Stato.
Cominciamo dalla politica che, se non facesse piangere, ci farebbe sbellicare dalle risate: per scongiurare l’arrivo di un altro Mussolini (ricordiamo, però, che passò anch’egli dal Parlamento ricevendo la fiducia in entrambe le Camere, ndr) i Padri Costituenti favorirono – di fatto – la nascita di un altro regime, ovvero quello partitocratico.
Da allora il Parlamento si divide in partiti e partitini che, a loro volta, si dividono in correnti e correntine che, talvolta, danno luogo a scissioni e scissioncine. Perfino i singoli politici riescono a dividersi, scindendo le loro granitiche convinzioni in base all’utilità del momento, saltando con nonchalance da destra a sinistra passando, ovviamente, per il mitologico centro. Risultato: il pantano che, ahinoi, ben conosciamo.
Poi, come detto nel titolo, la Magistratura. Le cronache di questi giorni ci regalano l’immagine degradante di magistrati ed ex magistrati che si lanciano accuse al vetriolo, accompagnate dalle “Ola” delle rispettive tifoserie che alimentano uno scontro tanto stucchevole quanto pericoloso, che non rende certamente giustizia al resto della categoria.
Divisioni – anche qui in correnti – interne alla Magistratura a cui si somma l’incapacità e in qualche caso la disonestà di alcuni, che ci proiettano tra l’incudine e il martello della divisione tra due poteri: legislativo e giudiziario.
Volendo limitarci all’ultimo trentennio, da Tangentopoli in poi abbiamo assistito a una lotta senza quartiere in cui le reciproche invasioni di campo non si contano nemmeno più e che, al netto degli interessi dei protagonisti e dei loro sodali – elenco lunghissimo, che comprende i rappresentanti di tutte le categorie, compresi giornalisti che grazie a questa dicotomia continuano a campare di rendita -, ci consegna un Paese sempre più lacerato e privo di punti di riferimento, oltretutto nel mezzo di un crocevia decisivo come quello che stiamo atraversando.
Pensare che basterebbe pochissimo, a cominciare dalla presa d’atto che in ogni categoria esistono i buoni e i cattivi, che generalizzare è sempre sbagliato (specie se lo facciamo per convenienza) e che l’unione fa veramente la forza.
Tutti concetti di cui parliamo ai nostri figli, e che dovremo cominciare a mettere in pratica noi per primi.