Era il 16 giugno 1858 quando Abraham Lincoln pronunciò il The House Divided Speech, uno dei discorsi più forti e, nonostante gli anni, attuali di sempre.
La paura più grande di Lincoln era basata sulla possibilità che il Paese potesse spaccarsi per via della schiavitù. Non a caso, durante la sua presidenza, fu approvato il XIII° emendamento il quale abolì la schiavitù.
Alcuni passaggi di quel discorso, riletti oggi, fanno riflettere su come nonostante le leggi tutelino i diritti, il significato stesso di quelle parole, con tutti i distinguo del caso, non è mutato.
«Una casa divisa contro se stessa non può reggere» è la metafora che racchiude la paura più grande di una nazione che non era focalizzata sull’immigrazione o sull’aborto come oggi, ma su qualcosa di più importante, sull’umanità stessa. Lincoln stesso disse: «non mi aspetto che la casa cada, ma mi aspetto che cesserà di essere divisa. Diventerà o una cosa o l’altra».
Il significato di queste parole era chiaro: uno fra Nord e Sud doveva cedere. O schiavisti o no. E lo stesso futuro Presidente ammise che non sarebbe stata necessaria una spaccatura dell’Unione ma una decisione univoca, nonostante la guerra civile.
Dallo scorso mercoledì questa frase, insieme a buona parte del discorso, ha ripreso corpo fra le vie dell’America più violenta degli ultimi anni. La morte di George Floyd è stata l’ultima goccia di un vaso che, nonostante la presidenza di Lyndon Johnson, era già stracolmo da tempo.
È si vero che una prima autopsia smentisce un video che milioni di persone hanno visto in diretta ma è altrettanto vero che, anche qualora i poliziotti non dovessero essere processati per omicidio, non vi è niente di umano o razionale nel modo in cui Floyd è stato trattato; così come non vi è nulla di umano nel come vengono portate avanti le proteste e nel come la polizia in molti casi sta reagendo.
La verità è che non vi è niente di politico da dover constatare in questi giorni, qui il discorso è morale, anzitutto. Additare questo o quel Presidente non giustifica qualcosa che, da qualunque prospettiva lo si veda, è immorale. Così come è immorale la pena di morte e assistere alle esecuzioni.
Continuare con questa violenza – alla quale si sono aggiunte altre morti altrettanto ingiustificate come quella di Floyd – non ci restituirà chi per i diritti civili ha lottato e chi è morto ingiustamente, ma aumenterà solo la possibilità concreta che una polarizzazione ormai iniziata da anni – sia chiaro, gli Stati Uniti d’America non sono polarizzati dal novembre 2016 – diventi una carneficina senza precedenti.
In un periodo storico che vede il Paese colpito dal COVID con una potenza inaudita, perseverare nel gettare le basi di una nuova guerra civile è solo il preludio ad un punto di non ritorno.
L’idea di due Americhe – neanche fossero le Calabrie – o di una America rossa e di una blu – come conferma l’istituto Pew Research, il quale afferma che «la polarizzazione politica è una caratteristica distintiva dell’attuale politica americana» – paradossalmente ci riporta con la mente a quelle parole di apertura con le quali Lincoln lanciò la sua campagna, poi persa, per il Senato.
Le parole di apertura di quel discorso – «se potessimo sapere prima dove siamo e verso dove andiamo, potremmo quindi giudicare meglio cosa fare e come farlo» – si collegano perfettamente a quelle del Farewell Address di George Washington, nel quale il primo Presidente affermò: «l’amore dell’uno dovrebbe far tenere a cuore il bene dell’altro».
Appare cristallino che dovrebbe esistere una identificazione comune degli americani sotto la guida dell’uguaglianza che dovrebbe trascendere dalle loro affiliazioni con i partiti politici.
Eppure questi giorni dimostrano l’esatto opposto.
È qui che entra in gioco la metafora di Lincoln, quella di considerare l’Unione come una «casa».
E se la metafora vuole essere ancora più intima, basta paragonare l’Unione a quella casa intesa come famiglia. In ogni famiglia i conflitti sono inevitabili e ci si sfalda se questi conflitti non vengono risolti. La parola «casa» sottolinea scopo comune, collaborazione, cooperazione, intraprendenza, sostegno. È dalle fondamenta che si costruisce qualcosa di solido. Le differenze di vedute ci saranno sempre ma si può restare insieme nonostante queste. Non conta quanto non siamo simili ma quanto lo siamo.
È, dunque, ora di modificare anche le idee stesse che attanagliano i dibattiti e gli scenari politici di oggi. Esiste una verità di base che va oltre i concetti di democratico e repubblicano, una verità che è innegabile e continuare a rimandare lo scontro con essa non aiuta.
L’avvertimento morale di Lincoln, oggi più attuale che mai, deve essere inteso come pietra fondante a prescindere da cosa e come si pensi: si tratta di devozione all’uguaglianza.
«Una casa divisa contro se stessa non può reggere» se si presume che essa sia un semplice patto di convivenza.
«Or sono ottantasette anni – afferma Lincoln nel discorso di Gettysburg – che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali». L’uguaglianza era la base essenziale dunque, non facoltativa, per l’adesione all’interno dell’Unione.
Oggi come allora, però, la paura è che questa casa non abbia più delle solide fondamenta.
Lincoln stesso ammise, durante quel discorso passato alla storia, che la guerra civile avrebbe provato se gli Stati Uniti d’America erano pronti – così come erano stati concepiti – a durare nel tempo.
Allora rimasero in piedi e furono capaci di risorgere dalle ceneri più dolorose. E oggi?
Oggi nella tempesta che da mercoledì si sta abbattendo sull’America si intravedono degli spiragli di sole che ridanno la speranza. Questi spiragli sono morali e tendono verso la giustizia. E vengono da ogni angolo del Paese. New York, Washington D.C., Niagara Falls, Orlando, Charlotte, Santa Cruz, Miami, Portland: sono solo alcune delle città dove la solidarietà ha preso il posto della rabbia e della violenza – la vicinanza dei poliziotti ai manifestanti – nonostante la stessa perduri altrove o, alle volte, anche nelle stesse città.
Perché è si vero che «una casa divisa contro se stessa non può reggere» ma è ancor più vero che «sta – nuovamente – a noi il votarci qui al grande compito che ci è dinnanzi: che da questi morti onorati ci venga un’accresciuta devozione a quella causa per la quale essi diedero, della devozione, l’ultima piena misura; che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione (…) abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra».