Anche Soft Bank, proprietaria di Vision Fund, il fondo di tecnologia più ricco del mondo, sta facendo i conti con la difficile ripresa. Di recente la compagnia finanziaria giapponese guidata da Masayoshi Son ha venduto quote di società per coprire l’enorme debito. Gli ultimi bilanci infatti dichiarano un rosso da per 961,576 miliardi di yen (7,86 miliardi di euro), dovuto in gran parte alle perdite Uber Technologies Inc (che con la pandemia ha perso circa l’80% della domanda) e We Work, due aziende controllate dal fondo.
Tra provvedimenti giudiziari e cali di fatturato, l’ultimo anno di Uber è stato decisamente negativo. Se poi si pensa che nei primi mesi del 2020 in Italia è stata commissariata per ipotesi di caporalato e in California un giudice ha imposto l’assunzione dei driver come dipendenti, ci rendiamo che i successi della compagnia sono ormai lontani.
Diversa la situazione di WeWork, fornitrice di spazi di lavoro condivisi per startup e servizi tecnologici, che ha visto scendere le proprie quotazioni e su cui pende una class action mossa da un gruppo di investitori presso il tribunale di San Francisco. Secondo l’accusa, la controllante SoftBank avrebbe abbassato gli investimenti in innovazione, così da causare perdite e basse valutazioni.
“In precedenza, dicevano che stavano investendo in tecnologie all’avanguardia come l’Iintelligenza artificiale, ma ciò che hanno fatto è spesso vecchio stile, come investimenti immobiliari e hotel”, ha detto Masahiko Ishino, analista presso il Tokai Tokyo Research Institute, e promotore della causa.
Ciò nonostante Fund Vision ha deciso di confermare i propri investimenti sia in Uber che in We Work e di vendere le quote di T-Mobile, società di telecomunicazioni americana, alla tedesca Deutsche Telekom. I problemi infatti non riguardano il portfolio del fondo (che comprende in start-up e multinazionali in vari rami della tecnologia), ma la liquidità.
L’obiettivo di SoftBank è di potenziare Vision Fund, mettendo i propri soldi in aziende che possano rendere. Una di queste è colosso cinese dell’e-commerce Alibaba Group, nell’ambito di un piano teso a generare liquidità per 4.500 miliardi di yen (42 miliardi di dollari). Un’altra azienda su cui ha puntato è Credit Suisse, banca svizzera, con un’iniezione da 500 milioni di dollari.
Intanto il magnate Son ostenta sicurezza e, commentando il buco della propria compagnia, ha detto che rispetto alla crisi Dotcom (in cui SoftBank ne uscì con le ossa rotte) si tratta di un momento difficile ma non complicato.