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Coronavirus

Il bolso Bolsonaro

«Tutti dobbiamo morire, prima o poi», oracolava lo scorso giugno, intrattenendosi con alcuni aficionados, il presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro, proprio nel cuore di un’emergenza sanitaria fuori controllo, già impegnata a mietere un preoccupante numero di vittime nel Paese.

Incontinenze dialettiche trasudanti arroganza, strafottenza, superficialità e pure una certa dose di fatalistica incoscienza.

A distanza di poco più di un mese da quell’infelice battuta, che avrebbe meritato almeno un rito del Divino Otelma accompagnato da abbondanti dosi di gesti apotropaici, il presidente Bolsonaro, negazionista da Covid-19, ha annunciato apertis verbis la sua positività al virus.

Una notizia accolta, è facile immaginarlo, con una certa preoccupazione da tutti i ministri che compongono la squadra di governo del “presidente atleta”, anche alla luce del numero crescente di vittime causate del Covid-19 in Brasile, arrivate a sfondare quota 66.000 e con oltre 1,6 milioni  d’infettati.

Dopo mesi di considerazioni in libertà, di prese di posizione sconsiderate, d’inutili polemiche con medici e scienziati, di paradossali bagni di folla nonostante una nazione stremata dalla pandemia, di gitarelle sulle moto d’acqua, di barbecue con i sostenitori adoranti, di boutade sull’inefficacia della mascherina, Bolsonaro (a cui, contrariamente ai numerosi detrattori, ora impegnati in festosi caroselli rivolgiamo sinceri auguri di pronta guarigione), resta una figura controproducente, incapace sia di trasformarsi in un riferimento per il Paese – abbandonato a laceranti divisioni, lasciato senza guida e senza regole proprio nella fase più acuta di contrasto al virus -, sia di caricarsi sulle spalle l’incombenza della fallimentare gestione dell’epidemia, scaricando su altri (leggi istituzioni varie) le responsabilità.

O peggio, affidando il fardello, dopo aver silurato due ministri della Sanità in aperto conflitto con le sue posizioni, alla compiacente improvvisazione di amatoriali camarille con le stellette.

Le malattie, si sa, non guardano né allo status, né al ruolo, né alla professione. Non perdono tempo a controllare il saldo del conto corrente del malcapitato prima di emettere l’insindacabile verdetto.

Sostanzialmente se ne fregano. Perché gli accidenti sono, tra tutti i guai, quello più democratico in assoluto.

Questa volta, però, la ruota della (s)fortuna per Bolsonaro è girata malamente.

Tuttavia, a farne le spese, lo dicono i numeri, sono molto spesso coloro che più difficoltà incontrano nell’accesso alle cure, che vivono in luoghi insalubri, lontano da strutture sanitarie adeguate, nella maggior parte dei casi, per quanto riguarda il Brasile, fiaccate dalla mancanza d’investimenti.

Insomma, alla fine il conto di politiche sanitarie “allegre” non sarà pagato dal Bolsonaro di turno, ma da tanta povera gente purtroppo contagiata da un virus aggressivo e non da una banale gripezinha.

Parlando di Napoleone, Hegel, scriveva così a un amico: “Ho visto l’Imperatore, quest’anima del mondo, uscire dalla città per andare in ricognizione. È una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina”.

Osservando le ormai celebri foto di Bolsonaro a cavallo, ci vediamo costretti a ridimensionare l’enfatico giudizio di Hegel (che peraltro, su Napoleone, cambiò anche opinione), decisamente inadeguato per il caudillo brasiliano, un uomo, ormai, non solo colpito dal virus, ma pure esposto alle meritate canzonature dell’ingrata piazza.

Il Brasile, infatti, ha scoperto un nuovo duca Alfonso Maria di Santagata dei Fornari, cui dedicare, magari, un pensiero.

Di testa e di petto.

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