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INCHIESTA SULLA CINA

Orwell si è fermato in Cina. Prima parte: il social credit

Percosso dalla pandemia, il mondo occidentale oggi sembra quasi invidiare il sistema informatico di controllo sanitario che negli ultimi mesi la Repubblica popolare cinese ha messo in atto contro il Covid-19. Del resto, viste le dimensioni della popolazione cui si è applicato, quel sistema ha dimostrato di funzionare più che bene, garantendo un efficace controllo a distanza.

Certo, non è proprio un sistema liberale, né ha caratteristiche democratiche. Eppure sembra piacere a gran parte dell’opinione pubblica occidentale, purtroppo, perché da questa parte del mondo s’ignora come funzioni il controllo sociale vigente in Cina: un sistema che, in realtà, esiste ben da prima che il coronavirus esplodesse a Wuhan, nella seconda metà del 2019, e da molto prima che quello che Donald Trump (non a torto) chiama «the Chinese virus» massacrasse l’economia mondiale.

Eppure è proprio sulla base di quel sistema preesistente che Pechino ha potuto organizzare il suo penetrante apparato informatico anti-Covid-19. Il sistema di controllo sociale cinese, che ovviamente è anche politico-ideologico, è nato già alla fine degli anni Sessanta su base burocratico-poliziesca, poi si è sviluppato vorticosamente con l’avvento della cibernetica, e da sei anni in qua si fonda sempre più sull’informatica e sugli smartphone.

Dal giugno 2014, prima su base volontaria e dal 2019 obbligatoria, la Repubblica popolare ha imposto a un miliardo e 400 milioni di cinesi il Social credit system (Scs): un sistema di «rating» personale, basato sull’uso dello smartphone e sul controllo informatico di tutte le attività compiute attraverso quello strumento, oltre che su un’ubiqua videosorveglianza, sul riconoscimento facciale, sull’impiego dell’intelligenza artificiale e sulla geo-localizzazione.

Alla base dello Scs c’è un immenso sistema informatico che archivia ed elabora i dati individuali degli abitanti. Negli archivi governativi c’è un file per ognuno di loro, che contiene una serie d’informazioni-base: dai voti a scuola (che è l’istituzione che per prima giudica i futuri «buoni cittadini») al curriculum lavorativo, fino a dati sulle caratteristiche fisiche e a foto sempre aggiornate del suo volto. A queste informazioni, ovviamente, se ne aggiungono molte altre. Molto più sensibili, e penetranti.

Un sistema «a punti»

Operativamente, il Social credit system si basa su un meccanismo di premi e di punizioni, la cui somministrazione risponde a una scala di punteggi. Il cittadino guadagna punti se compie azioni considerate «positive», e ne perde se invece adotta comportamenti «negativi» per la società, o considerati tali dal governo.

Ogni cinese viene premiato e incassa punti, per esempio, se paga regolarmente le tasse e le bollette, se rispetta le politiche demografiche, se non si assenta mai o quasi mai dal lavoro, se rispetta divieti e limiti stradali, se è disciplinato nelle file e sui trasporti pubblici; guadagna posizioni perfino se dona il sangue e se fa volontariato, e addirittura se va a trovare spesso i genitori anziani.

Il cinese viene punito, al contrario, per tutti i comportamenti «antisociali» che adotta: perde punti se fuma nelle aree per non fumatori, se passa con il semaforo rosso, se rifiuta di fare il servizio militare, se pubblica o diffonde online «fake news» (cioè tutte le notizie che il regime definisce tali), se getta immondizia per strada, se paga in ritardo un debito con le banche.

Anche gli acquisti sono controllati e partecipano al sistema premiale: in Cina oggi circa il 90% delle compravendite (cioè tutte quelle online e quasi tutte quelle nei negozi delle città e delle megalopoli) avviene attraverso l’applicazione Ali-Pay, il sistema di pagamenti del colosso internet delle vendite Alibaba, che ne trasferisce i dati al governo. Lo Scs è attivo perfino sulle compere dei cinesi: perde punti chi fa acquisti che il regime valuta sconsiderati e voluttuari, per esempio troppi video-game. Chi acquista spesso pannolini, invece, viene letto come genitore, il che probabilmente lo fa leggere dal sistema come «persona responsabile».

Anche il controllo politico è capillare. Attraverso algoritmi, il data-base premia chi online o in chat (in Cina esiste un solo sistema di questo tipo, WeChat, controllato dal governo) dà giudizi positivi sul Partito comunista cinese, sulla politica o sull’economia, e toglie punti a chi osa fare il contrario e a chi è amico dei «reietti» già puniti dallo Scs.

Per essere puniti, basta postare una foto delle antiche proteste di piazza Tien-an-men, che resta una spina nel fianco del regime: un manager italiano che per qualche tempo ha vissuto a Pechino, lamenta di avere avuto seri problemi con la polizia soltanto per avere usato il nome Tien-an-men per il suo profilo su Facebook. Tornando al punteggio dello Scs, paradossalmente, viene punito e perde posizioni anche chi si limita a diffondere la notizia di un calo di Borsa: se la Borsa va giù, del resto, questo vuol dire che il governo ha fatto un errore, e sottolinearlo non è da buoni cittadini.

Solo chi ha punteggi alti accede al sistema premiale dello Scs, che i cinesi chiamano confidenzialmente «Zhìma» (cioè «sesamo»: forse perché i punti si accumulano come semi): si ottengono sconti su generi alimentari e benzina, bollette del gas e della luce meno care, migliori tassi d’interesse bancari, ma si ha anche l’accesso scontato agli alberghi e ai ristoranti più lussuosi, o la possibilità d’iscrivere i figli alle migliori scuole e università.

Solo chi accede ai livelli più alti della classifica-punti può fare carriera nelle imprese e nelle banche pubbliche. Essere in vetta alla classifica è uno «status symbol» che secondo Wired può facilitare addirittura la ricerca di una moglie.

Chi invece ha punteggi bassi non solo non accede a nessuno di questi vantaggi, ma può anche perdere diritti importanti, come quello di viaggiare in treno o in aereo, o di recarsi all’estero. Nel marzo 2018 Channel New Asia ha rivelato, citando statistiche governative, che nel 2017 era stato vietato l’acquisto di biglietti aerei a 9 milioni di cinesi, e che 3 milioni non avevano potuto viaggiare in prima classe sui treni. È ignoto il dato di quanti si fossero visti vietare l’espatrio. Punteggi bassi determinano anche il divieto d’accesso ai ristoranti e a internet veloce.

L’unico ostacolo all’occhio penetrante dello Scs sulle vite dei cinesi è il mancato possesso di uno smartphone, uno strumento che però oggi viene usato da oltre quattro quinti degli abitanti. L’ultimo Piano per lo sviluppo dello Scs, del 2016, prevedeva peraltro che entro il 2020 l’intera popolazione sarebbe stata dotata di uno smartphone.

È grazie a questo penetrante sistema di controllo di massa se il cinese medio si trasforma in una rotella dell’immenso ingranaggio sociale, e non se ne lamenta affatto. Se il cittadino-rotella gira bene, se funziona, non gli succede nulla di male e anzi ottiene strumenti che gli facilitano l’esistenza. Per chi si oppone, invece la vita diviene difficile, sempre più difficile. Ma dopo tutto è colpa sua.

I cinesi sono consapevoli di essere controllati attraverso lo Scs, e in grande maggioranza sono favorevoli, esattamente come sanno che anche i loro spostamenti lo sono, e in modo capillare. A sorvegliarli ovunque è un sistema di controllo facciale chiamato Xue Liang («occhio penetrante»).

 

– Continua domani

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