Dal Governo De Gasperi II – che fu il primo dell’Italia repubblicana – a oggi si sono susseguiti 67 governi in 76 anni, con una media di durata per governo di circa 414 giorni. Questo dato dice molto, anzi moltissimo rispetto alle debolezze della nostra Nazione che, in quanto cronicamente instabile, non puo’ certamente godere della medesima fiducia suscitata da democrazie che hanno saputo dotarsi di sistemi capaci di garantire continuità.
D’altra parte, quali risultati volete che ottenga una compagine di governo in poco più di un anno? Esattamente ciò che hanno fatto, ovvero poco o nulla. Oltretutto, trattandosi di esecutivi nati in Parlamento e non nelle urne, quindi frutto di compromessi al ribasso tra forze politiche con idee e visioni divergenti, dal dopoguerra a oggi non abbiamo avuto uno straccio di governo in grado di tracciare un minimo di prospettiva per il futuro.
In estrema sintesi, abbiamo un sistema del tutto anacronistico che, nell’era del Web, degli algoritmi, delle blockchain, delle criptovalute e dell’intelligenza artificiale, ci tiene imbrigliati in una sorta di camicia di forza chiusa ermeticamente da strettissimi lacci e lacciuoli.
Ne citiamo giusto un paio: il bicameralismo perfetto, che significa che una legge approvata alla Camera deve passare anche al Senato e, nel caso in cui subisca modifiche, deve tornare alla Camera, dando così vita a un vero e proprio fenomeno che è quello di leggi e riforme che “rimbalzano” tra le due camere per anni e anni. Il secondo è il ruolo del Presidente del Consiglio, scelto dai partiti e non dal popolo con il proprio voto, che non ha nemmeno il potere di nominare e revocare i propri ministri.
Aggiungiamo una legge elettorale che, dalla sciagurata adozione del Porcellum (un vero e proprio colpo di grazia alla rappresentatività della classe politica) ha introdotto le liste bloccate, che in parole povere significa far scegliere i parlamentari ai segretari di partito anziché agli elettori. Un parlamento di nominati, che sarà poi chiamato a nominare un governo e poi, ogni 7 anni, un Presidente della Repubblica a sua volta nominato da un parlamento di nominati.
Ciò vuol dire che noi cittadini non abbiamo la possibilità di scegliere qualcuno che rappresenti noi e il territorio, né tanto meno di partecipare alla vita pubblica, in quanto il principio di partecipazione è stato sostituito con quello di cooptazione, un sistema che già 10 anni orsono Giorgia Meloni definì «una pietra tombale per la credibilità della politica e un’umiliazione per chi vuole misurarsi col consenso.»
A fronte di ciò – dinnanzi all’orizzonte di una Repubblica presidenziale che la leader di Fratelli d’Italia ha coerentemente scelto come uno dei principali obiettivi del centrodestra – è del tutto evidente che la sinistra a trazione PD veda svanire la possibilità di continuare a governare senza dover vincere le elezioni, come del resto ha fatto in 10 degli ultimi 11 anni.
Peraltro tradendo per mero opportunismo uno dei propri valori fondanti, enununciati da Walter Veltroni nel 2007 al Lingotto di Torino: «Due senatori, nella democrazia malata del nostro Paese, pesano più di milioni di cittadini che hanno eletto un governo. Un sistema malato, dominato dall’odio, in cui tutti vogliono distruggere e pochi assegnano a se stessi il compito di costruire. Invece l’Italia ha bisogno di un nuovo inizio, di una nuova stagione. Ha bisogno di una democrazia che decida. Ha bisogno di una nuova coscienza civile, di un nuovo senso della legalità e del valore delle regole. Ha bisogno che si affermi l’etica della responsabilità sul cinismo della furbizia, ormai diffusa. Un’Italia nuova nasce da un nuovo assetto istituzionale. Se qualcuno mi chiedesse qual è, guardando in Europa, quello che preferisco, risponderei quello francese. Tutto: sistema istituzionale e legge elettorale.»
Ahinoi, a distanza di 15 anni l’Italia è ancora imbrigliata dall’instabilità imposta dal giogo partitocratico che, oggi, utilizza lo spaventapasseri del fascismo nel disperato tentativo di convincere milioni di italiani che un sistema in cui chi vince governa e chi perde sta all’opposizione sia il male assoluto.
Il 25 settembre potremo quindi scegliere tra chi, come Letta, si è ridotto a difendere il sistema attuale per mantenere lo status quo e chi, come Giorgia Meloni, è perfettamente consapevole che senza riforme l’Italia è destinata a rimanere una Nazione analogica in un mondo digitale.