«Ho pagato 40 anni di contributi, sono sempre stato onesto e questo è il modo in cui mi ricompensano». Conobbi Mario (lo chiamerò così per evitare inutili imbarazzi) durante una delle mie prime esperienze professionali e negli anni si è sempre confermato come un portatore sano di buonumore; mai una lamentela o un’imprecazione, solo sorrisi accompagnati dal grande dono di avere sempre la battuta pronta per sdrammatizzare.
Sempre, ma non ieri mattina. L’ho incontrato casualmente fuori da un supermercato e, non appena mi ha visto, è scoppiato in lacrime. Non riusciva a parlare e quasi se ne vergognava così, dopo avergli stretto forte un braccio, gli ho chiesto se avesse voglia di parlarmi del suo problema.
Dopo aver preso fiato si è fatto coraggio e mi ha raccontato del male incurabile della sua compagna e della concomitante perdita della casa, il tetto sotto al quale avevano sempre vissuto. Due disgrazie a fronte delle quali Mario si è visto costretto a imboccare due tunnel: il primo, lastricato di peripezie sanitarie, fatto di dentro e fuori dagli ospedali in cerca di una speranza a cui aggrapparsi e, contestualmente, quello altrettanto accidentato della burocrazia, che in Italia pervade fin dentro alle viscere tutto ciò che è pubblico, compreso il cosiddetto Welfare, lo stato sociale.
«Ho prodotto montagne di documenti e certificati, ci mancava soltanto che il Comune mi chiedesse di portagli il sangue o le urine, ma dopo parole e attese lunghe mesi sembra che la nostra posizione in graduatoria per una casa popolare anziché avanzare sia arretrata», si è sfogato Mario, che ha puntualizzato con orgoglio che «non ho mai chiesto nulla di gratis, io ho pagato per tutta la vita e voglio continuare a pagare, ma da italiano onesto sprofondato in una situazione di disagio vorrei soltanto un affitto in linea con le mie possibilità attuali. Non mi sembra di chiedere la Luna, eppure i servizi sociali hanno risposto che l’unica soluzione è mettere me e mia moglie in due dormitori differenti, uno dei quali peraltro costa quasi 200 euro a settimana».
Prima di ieri mattina avevo in mente un articolo di tutt’altro tenore per salutare la ripartenza del nostro quotidiano online, ma l’incontro con Mario mi ha fatto riflettere ulteriormente sulla grande responsabilità che abbiamo noi che ogni giorno ci prefiggiamo di informare il prossimo su ciò che avviene nel mondo che ci circonda in tempi particolarmente “interessanti” come quello che stiamo vivendo.
È una questione di scelte. Nel nostro caso si può tranquillamente scegliere di allinearsi standosene buoni buoni dalla parte del politicamente corretto oppure, al contrario, è possibile decidere di cercare la verità ovunque essa sia, senza posizioni precostituite e, soprattutto, scevri dai filtri che la stragrande maggioranza dei media mainstream pensano di poter imporre all’universo mondo.
D’altra parte è inevitabile che un ragionamento simile tocchi anche la politica, per il semplice fatto che essa tocca noi, in ogni ambito. Due dimensioni, politica e informazione, che farebbero bene ad aprire occhi e orecchie perché, che ci piaccia o no, coi tempi che corrono di storie come quella di Mario ce ne saranno sempre di più.
Parliamo di onesti cittadini che dopo aver lavorato (e pagato le tasse) per una vita si trovano letteralmente in mezzo a una strada, oppure di imprenditori e professionisti messi in ginocchio dalla pandemia.
Un consiglio a chi sottovaluta o sminuisce il fenomeno: se scendendo dall’auto blu o mettendo il naso fuori dai salotti buoni che siete usi frequentare dovesse capitarvi d’incontrare uno di loro, evitate gli argomenti fumosi a cui siete abituati e immaginate che l’uomo o la donna che avete di fronte sia vostro padre, vostra sorella o il vostro migliore amico.
Il solo pensiero vi fa star male, vero? Ora pensate che per centinaia di migliaia di italiani questa è la realtà.