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POLITICA USA

I dibattiti presidenziali che hanno fatto la storia

È stato definito come “il peggiore dibattito della storia”. E, questa storia, nasce 60 anni fa.

Il dibattito fra Donald Trump e Joe Biden non è stato solamente un dibattito senza colpi da k.o. ma, soprattutto, uno spettacolo privo di contenuti. Un giudizio breve e veloce lascia ampi margini di miglioramento ai due e, diciamolo apertamente, anche a chi dovrà moderarli successivamente, sempre se i dibattiti si terranno, causa la positività del presidente al Covid-19, al quale vanno i migliori auguri di pronta guarigione.

Le grandi aspettative disattese intorno a questo dibattito ci dicono che il confronto con il passato è impietoso e che la consegna all’anonimato è alle porte. I posteri già fra quattro anni lo nomineranno solo per dovere di cronaca.

Come è possibile arrivare a definire un dibattito come “il peggiore di sempre”? Su quali basi si costruisce questa affermazione?

Escludendo la differenza fra chi è ed è stato protagonista dei dibattiti, è nella sostanza che alcuni dibattiti lasciano un segno indelebile.

Il 26 settembre 1960, ad esempio, l’allora vicepresidente in carica e candidato fra le fila repubblicane Richard Nixon uscì con le ossa rotte nel primo dibattito della storia a causa di una influenza che lo fece apparire con un colore spettrale. In quel dibattito Nixon dovette più volte ricorrere ad un fazzoletto per asciugarsi il sudore e apparve sempre piuttosto malconcio. È qui che l’immagine diviene regina della scena: l’allora senatore Kennedy, oltre alla solidità espositiva e argomentativa, mista ad una capacità retoriche d’altissimo livello, riuscì a conquistare i telespettatori grazie al suo aspetto fotogenico.

Un caso simile al confronto fra Biden e Trump lo si può rintracciare nel 1976, quando però fu un problema tecnico a riscrivere le regole. L’allora presidente Ford e lo sfidante Carter stettero per 27 minuti in silenzio davanti le telecamere per un problema al sistema del suono. Ambedue furono incapaci di andarsene, temevano di fare movimenti inconsueti e avevano paura di dimostrarsi deboli o incapaci di gestire il problema. Allora però i due erano giustificati dal problema venutosi a creare, oggi i contendenti non lo sono perché si sono causati da soli il problema.

Nel 1984, il settantatreenne presidente uscente Ronald Reagan nel primo dibattito contro l’ex vicepresidente, Walter Mondale, apparve confuso e decisamente poco convincente. Dallo stesso Mondale al “The Wall Street Journal”, tutti affermarono che il problema di Reagan fosse l’età avanzata.

La tenacia dell’ex attore emerse fuori nel dibattito successivo: “Non voglio che l’età diventi un tema della campagna. Non trarrò vantaggio, a scopi politici, della giovinezza e inesperienza del mio sfidante.” La risata mozzata che lo stesso Mondale dovette farsi sancì la sua imminente sconfitta elettorale.

Nel 1992, il già distrutto e quasi estromesso dalla Casa Bianca George W. H. Bush, dopo la famosa gaffe su «leggete le mie labbra, non ci saranno più nuove tasse», fece un passo falso, segno di tensione, mancanza di rispetto e di stile durante il primo dibattito con Bill Clinton e Ross Perot. L’allora presidente mentre una ragazza dal pubblico stava ponendogli una domanda, abbassò lo sguardo, spostò il gomito, e si mise a guardare l’orologio al polso. Bush a tal proposito poi affermò: «Solo dieci minuti ancora di queste cazzate». Il resto è storia.

Dodici anni più tardi fu il figlio – George W. Bush – mostrò più volte la sua rabbia durante il dibattito contro l’ex segretario di Stato John Kerry attraverso smorfie e segni di diniego verso le affermazioni rivolte dal suo sfidante. Il video divenne un simbolo di quegli anni e tutt’oggi viene utilizzato per ricordare la figura del secondo Bush alla Casa Bianca.

Un giudizio politico di sintesi, fa venire alla memoria le parole di un celebre discorso di Theodore Roosevelt alla Sorbona, nel maggio del 1910.

«Non è il critico che conta, né l’individuo che indica come l’uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione. L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perché non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo. (…) Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta».

Biden e Trump hanno agito ambedue da anime timide.

Gli Stati Uniti d’America meritano di meglio rispetto allo spettacolo che si è consumato a Cleveland. E la storia lo ha già ampiamente dimostrato.

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