AAA magistrato cercasi, scopo inchiesta sui concorsi per diventare magistrato.
In effetti una procura della Repubblica è l’ultima spiaggia per cancellare il grave sospetto che da decenni macchia la macchina che valuta le prove dei candidati a divenire «uditore giudiziario» (così si chiama il magistrato «praticante»).
È accaduto anche nell’ultimo concorso. Due candidati, classificati «non idonei» al termine dello scritto che si è svolto nel giugno 2019 per 330 posti, hanno presentato un esposto al Consiglio superiore della magistratura, al ministero della Giustizia e al Tribunale amministrativo del Lazio.
Ottenuta copia degli elaborati dei candidati giudicati «idonei», i due «magistrati bocciati» hanno segnalato un armamentario di sospetti e anomalie: errori marchiani, imbarazzanti, sia in materia di diritto sia in ortografia; ma anche prove d’esame scritte in stampatello, costellate di grossi punti neri e di quadratini; e poi elaborati dove pagine intere, o mezze pagine, o righe alterne sono state lasciate in bianco, come palesi segni di riconoscimento destinati a esaminatori amici.
Nei temi dei candidati valutati «idonei» compaiono perfino risposte scritte non come testo piano, ma sotto forma di «schemino»: qualcosa di più adatto a un allenatore di calcio, insomma, che non a un futuro giudice.
È questo il mondo al rovescio dei concorsi di magistratura. Là dove la correttezza e il rispetto del diritto dovrebbero essere più di una regola, il prerequisito, dominano invece i sospetti e le denunce, e talvolta la rissa. E dato che in Italia non cambia mai nulla, soprattutto nel male, lo stesso elenco di anomalie è una costante ormai storicizzata.
Compare, tale e quale, già nel concorso per magistrati del 1992. A denunciarlo 28 anni fa, era stato un altro candidato bocciato, Pierpaolo Berardi. Oggi, quasi tre decenni dopo, Berardi fa l’avvocato ad Asti, ma continua a battersi contro le storture del concorso e, suo malgrado, si è trasformato nel simbolo vivente dell’impossibilità di avere giustizia.
Convinto di aver fatto un’ottima prova d’esame, nel 1992 Berardi era stato invece giudicato «non idoneo» in tutti e tre gli scritti (diritto penale, civile e amministrativo). Convinto che ci fosse qualcosa che non tornava, aveva presentato ben 15 successivi ricorsi al Tribunale amministrativo regionale.
Aveva anche denunciato i suoi sospetti alla Procura di Perugia, presentato un ricorso al ministero della Giustizia e depositato un esposto al Consiglio superiore della magistratura. Grazie a una legge del 1990, Berardi aveva infatti ottenuto le prove dei 275 candidati ritenuti idonei e aveva così scoperto un intero armamentario di errori e anomalie gravi.
Nelle 275 prove d’esame svelate ai suoi occhi, infatti, era comparsa prima di tutto un’imbarazzante selva di segni identificativi, indirizzati con tutta evidenza agli esaminatori, le cui firme per di più erano state in molti casi apposte irregolarmente o mancavano del tutto.
Uno dei candidati promossi non aveva neppure finito uno dei tre temi. Un altro aveva esibito una memoria clamorosa, davvero degna di Pico della Mirandola, in quanto aveva copiato intere pagine di testi di diritto, punteggiatura compresa. Perdi più, Berardi aveva calcolato che la media di tempo riservata dalla commissione all’esame degli scritti era da record, tre minuti appena. Uno dei motivi di tanta clamorosa rapidità era stato di certo il suo esame: la busta che conteneva la sua prova scritta, infatti, non risultava fosse mai stata aperta.
Di fronte a tutte queste prove, Berardi aveva ottenuto una sola vera soddisfazione: «Il 30 aprile 2008», ricorda l’avvocato astigiano, «il plenum del Csm ha riconosciuto che i miei elaborati non sono mai stati esaminati». Più magri, invece, sono stati risultati di tutto il resto della ciclopica attività d’indagine, degli esposti e delle proteste. Praticamente, Berardi non ha ottenuto nulla.
Per meglio dire, un risultato c’è stato, ma paradossale. Perché nel 2000 il Consiglio di Stato gli ha concesso il diritto a una seconda correzione della sua prova: «Il problema», dice lui, e riesce perfino a sorridere, «è che la correzione è stata affidata alla stessa commissione che aveva svolto il primo scrutinio. Ovviamente non hanno potuto fare altro che confermare il primo risultato, senza il minimo scostamento. Se avessero fatto diversamente, del resto, sarebbe stato come confessare».
Berardi ha la testa dura e anche di fronte a quella beffa non ha mollato la presa. Ha insistito nelle indagini e ha scoperto altre anomalie: per esempio, che l’elaborato di uno dei 275 candidati giudicati «idonei» è scomparso dagli archivi del ministero della Giustizia. Uno solo. Ma quel candidato, curiosamente, ha padre, madre e fratello magistrati. E anche quello scandalo nello scandalo non ha modificato il risultato della battaglia del giudice mancato.
I giornali, ogni tanto, hanno parlato del caso Berardi. Hanno dato vita a interrogazioni parlamentari. Lo stesso ex procuratore generale di Torino, Silvio Pieri, si è schierato con il ricorrente. Ha verificato la sua monumentale documentazione, e ha protestato forte e chiaro: «Non credo si possano ulteriormente ignorare i verbali sottoscritti da gente che non c’era,», ha dichiarato Pieri, «o la storia del fascicolo sparito e degli elaborati giudicati “idonei” quando non lo erano affatto».
C’era da aspettarsi che almeno l’intervento di un alto magistrato potesse smuovere qualcosa. Invece il muro di gomma ha resistito, come nulla fosse. Anche l’inchiesta di Perugia è stata archiviata: Berardi ricorda di essere stato interrogato da un pubblico ministero che accanto a sé aveva un uditrice giudiziaria uscita, curiosamente, proprio dall’esame sul quale aveva presentato la denuncia.
Berardi ha la testa dura, 28 anni dopo ancora non desiste. Ma ci vuole il suo carattere, per non mollare. Del resto, non c’è praticamente concorso per magistrati che non mostri lo stesso collage di proteste, denunce, sospetti. È una linea continua di episodi, dal 1992 al 2019, con decine di prove gravate da esposti e ricorsi finiti nel dimenticatoio. Nel 2001 tre candidati avevano denunciato che la loro commissione d’esame aveva dettato le soluzioni a tutti i presenti. Risultato? Zero.
Nel 2002 si era scoperto il clamoroso tentativo della correzione di un elaborato da parte di una commissaria, che nottetempo s’era introdotta nella stanza dov’erano conservati i compiti. Clotilde Renna, magistrato di Corte d’appello a Salerno, era stata scoperta soltanto perché la fotocopiatrice cui aveva chiesto la prova del suo intervento «salvifico», da consegnare all’amica candidata, s’era inceppata e aveva sputato centinaia di copie dell’elaborato corretto.
Un anno dopo, il Csm l’aveva allontanata dall’ordine giudiziario. Ma il concorso non è stato invalidato, né risulta che la candidata giudicata «idonea» grazie all’intervento salvifico abbia avuto problemi. E questo malgrado altre polemiche e altri esposti: sempre nel concorso del 2003, dopo la prova scritta, s’era scoperto infatti che almeno un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali veniva da Napoli e da Salerno, un’area che rappresenta solo un trentacinquesimo del territorio italiano e un dodicesimo della popolazione. Un trionfo tutto campano, insomma.
Accompagnato però da una curiosa coincidenza: erano della stessa area, Napoli e Salerno, sette dei 24 dei membri togati della commissione (tra i quali la dottoressa Renna) più cinque degli otto docenti universitari. In totale, 12 su 32: una maggioranza relativa di esaminatori campani. Soltanto una coincidenza? Non lo sapremo mai.
Ma può andare anche peggio. Nel 2008, per esempio, la prova d’esame per i 500 posti da magistrato era finita in rissa. Lo scritto s’era svolto in un locale della Fiera di Milano, che aveva accolto i 5.600 aspiranti. Alcuni di loro, però, avevano scoperto che nell’aula erano stati introdotti oggetti vietatissimi, come cellulari, appunti, codici annotati e pieni di foglietti, e perfino libri di testo.
Visto che quei trucchi parevano oscenamente diffusi, i candidati corretti avevano protestato e ad alta voce. Ne era scaturita un’accesa discussione con i colleghi presunti scorretti. Erano poi volati insulti e anche qualche schiaffo, e la rissa era stata sedata a fatica dai carabinieri, mentre i commissari d’esame erano stati costretti a scappare da una porta laterale. Risultato di tanto bailamme? Zero.
Nel 2015, tra i compiti dei 368 vincitori, analizzati da candidati giudicati non idonei, erano stati rinvenuti segni di riconoscimento imbarazzanti: asterischi, freccette, stelline, e perfino alcuni cuoricini. Esposti e ricorsi erano partiti ancora una volta. Risultato? Ancora una volta, zero.
A chiedere chiarezza sull’ultima prova del 2019 oggi è schierato un solo parlamentare: è Pierantonio Zanettin, già membro laico del Csm e deputato di Forza Italia. Anche Zanettin, tanti anni fa, aveva provato a dare l’esame per diventare magistrato, quindi conosce intimamente il problema… A metà ottobre il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, gli ha risposto in Parlamento che non può farci nulla, e che può occuparsene solamente la giustizia amministrativa, cioè il Tar del Lazio.
Zanettin gli ha ricordato che, in realtà, la legge sui concorsi, contenuta in un regio decreto del 1925, prescrive che «il ministro della Giustizia può intervenire in seno alla commissione d’esame ogni qualvolta lo ritenga opportuno, e ha facoltà di annullare gli esami nei quali siano avvenute irregolarità».
Non è servito a nulla nemmeno questo. Alla fine d’ottobre il Tar ha respinto il ricorso dei due «non idonei» sostenendo che le decisoni della commissione d’esame, per quanto «opinabili», non sono «palesemente irragionevoli, né immotivate o disarticolate dai criteri di valutazione predisposti dalla commissione stessa». Insomma, il Tar non vuole vedere il problema, anche se è grosso come una casa, e il ministro non vuole sentire.
Così, ancora una volta, uno scandalo rischia di finire nel dimenticatoio. Resta una sola speranza: che, da qualche parte, un magistrato coraggioso che abbia voglia d’indagare sul concorso per diventare magistrati.