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Politica

Oltre Rousseau: la democrazia digitale è una sfida di tutti

Al netto delle considerazioni di natura politica, oggi intendo soffermarmi sul ruolo della Piattaforma Rousseau. Il leitmotiv di oggi, da destra a sinistra, suppergiù è «60mila iscritti al Movimento 5 Stelle impongono il governo a 60 milioni di italiani», affermazione che può avere una certa efficacia per manifestare dissenso, ma comunque fuorviante, poiché tutti sappiamo benissimo che in mancanza della votazione online di ieri, la decisione sulla nascita del nuovo governo sarebbe stata presa dai segretari dei partiti nel palazzo, non certo dal popolo.

Certo, mi rendo conto che possa essere spiazzante assistere alla sospensione delle Istituzioni in attesa del responso di una votazione su una piattaforma digitale, ma dovremmo tutti cominciare a domandarci se – nel 2019 – sia giusto sospendere un Paese in attesa delle Istituzioni. Badate bene, per Paese intendo tutte le attività collettive e individuali che in esso vengono svolte: a partire dalla famiglia fino alle grandi aziende, passando per scuole, municipi, ospedali, liberi professionisti, istituti religiosi, associazioni e ogni altra singola cellula di cui si compone il nostro tessuto economico e sociale. Attività che devono giocoforza misurarsi con le regole che la società di oggi impone, a partire proprio dal digitale che, badate bene, non significa soltanto informazione e social network, ma anche sistemi e tecnologie capaci di aumentare la competitività delle nostre aziende o di aiutare la ricerca scientifica, giusto per fare un paio di esempi.

È assolutamente fisiologico che a un Paese calato in una realtà fatta di Web, blockchain, criptovalute, intelligenza artificiale e algoritmi stia oggettivamente stretto un sistema basato su un’architettura istituzionale vetusta come la nostra. Così come è parimenti comprensibile che l’aumento della libera circolazione di idee e opinioni favorito dall’avvento di Internet determini una maggiore richiesta di spazi democratici realmente accessibili, in cui le persone possano concretamente riversare passione e impegno: partecipando, esprimendo opinioni o anche candidandosi a cariche elettive. Se questa domanda di partecipazione non verrà presto soddisfatta, dovremo rassegnarci al destino di popolo da allevamento alimentato con surrogati di democrazia che, anziché liberarlo, lo schiacciano e lo comprimono sempre di più nello spazio vitale di uno smartphone.

In questo senso Rousseau non è certo la scoperta dell’acqua calda, ma una piattaforma in cui sono stati digitalizzati molti dei processi che avvenivano negli scomparsi partiti tradizionali: confronto interno, partecipazione, scelta dei propri rappresentanti e possibilità di avanzare nella filiera, da semplice militante a parlamentare o addirittura presidente del consiglio.

A mio avviso, il vero problema non è tanto che lo stiano facendo la Casaleggio Associati, ma che non lo abbia ancora fatto nessun altro, lasciando al Movimento 5 Stelle l’esclusiva su una questione centrale quale è la democrazia digitale.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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