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1984 motivi per ringraziare Edward Snowden

Tratteggiare la figura di Edward Joseph Snowden non è semplice. Troppo alto il rischio di cadere nel tranello ordito dalla retorica spicciola, quella, per intenderci, capace di trasformare in banalità uno tra i più rilevanti atti di “disubbidienza civile”. Atto con cui, nel giugno di sei anni fa, il contractor della Booz Allen Hamilton rese noti, supportato dai giornalisti Laura Poitras, Glenn Greenwald e Ewen MacAskill, migliaia di file contenenti documenti “top secret” della Nsa (National Security Agency, ndr) legati ai programmi di sorveglianza di massa.

Il coraggio d’altra parte non è un processo automatico e, come scrive Tucidide nella “Guerra del Peloponneso”:

“I più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l’affrontano”.

E non si può spiegare se non come un lucido, tremendo, atto di coraggio la vicenda umana di “Cincinnatus” (il nickname utilizzato da Snowden per contattare Glenn Greenwald, ndr) seguita alla clamorosa rivelazione del 2013. Quanti avrebbero rinunciato alla propria famiglia, ai privilegi forniti da un lavoro importante, generosamente pagato, in uno dei paradisi tra i più belli al mondo (le Hawaii), solo per difendere la libertà e la privacy di ogni cittadino nel mondo?

Snowden ha il pregio, sulla scorta di quanto già compiuto nel 1971 da Daniel Ellsberg, regista dello scandalo scaturito alla pubblicazione dei “Pentagon Papers”, di aver mostrato a tutti una realtà inquietante, pericolosa, costruita sugli scenari visionari preconizzati da Orwell in “1984”. Qui, però, non siamo nel capitolo di una saga successo né, tantomeno, di un videogame.

All’interno della denuncia di Snowden, come spiega Greenwald nel suo libro “No place to hide”, non albergano frustrazione o alienazione, attributi con cui, attraverso campagne di delegittimazione mirata, sono spesso marchiati i whistleblower, ma solo il desiderio di porre un freno, una barriera, ai sistemi concepiti per “eliminare ogni forma di riservatezza” da parte della Nsa con la “complicità” delle principali compagnie web (Microsoft, Yahoo, Skype, Facebook, Aol, Apple, YouTube).

Oggi, grazie al Datagate siamo in grado di comprendere cosa fosse il programma “Boundless Informant”, “Prism” (sistema finalizzato a scandagliare in profondità il mondo del web per controllare/mappare conversazioni e-mail, chat, socialnetwork con la scusa della sicurezza di stato) “Xkeyscore” (altro sistema di controllo internet da cui poter attingere informazioni attraverso la rete), “Epic Shelter” (progettato, inizialmente, per essere utilizzato come un sistema di backup – attivo 24h24 – ma trasformatosi ben presto, all’oscuro del suo ideatore, in un programma per operazioni di tipo militare), e, infine, il “database” definitivo, una sorta di sintesi di tutti gli altri programmi: Heartbeat.

Dalle rivelazioni di Snowden emerge, senza possibilità di fraintendimento, come in nome del terrorismo, ombrello sotto cui celare ogni tipo di violazione della privacy, trovi riparo, invece, il vero obiettivo dell’azione di spionaggio internazionale: creare vantaggi nelle trattative (a beneficio degli Stati Uniti) durante i principali Forum commerciali e mantenere il controllo economico e sociale dei paesi sorvegliati (amici e non).

Concetto perfettamente sintetizzato nel film “Snowden”, di Oliver Stone:

“Il terrorismo non c’entra, il terrorismo è la scusa”.

In gioco, dunque, resta il rapporto, sempre più scricchiolante, di un sistema in bilico tra sicurezza, leggi (spesso disattese nei fatti), diritti civili e privacy dei cittadini. Sullo sfondo, indifferente a scandali e appelli, si nutre, avido e ingordo, il golem della raccolta dati, ogni giorno più capillare e precisa. Un esercizio di monitoraggio tanto caro ai governi, ma anche ai privati,  che ingrassano, grazie ai sistemi di raccolta delle informazioni personali, sia i propri database sia i propri portafogli.

A Snowden, oggi apolide in terra russa tra un rinnovo e un altro del permesso di soggiorno, va riconosciuto il merito di aver smascherato il progetto di “dittatura informatica” concepito dall’intelligence americana ma, soprattutto, di aver alimentato con le sue rivelazioni il dibattito pubblico sull’importanza della tutela della privacy.

«La mia vita oggi? – racconta in una recente intervista rilasciata a Stefania Maurizi per “la Repubblica” – È lavoro. Non intendo un impiego, intendo una lotta. Il mondo che abbiamo davanti è veramente ingiusto per le persone ordinarie. Io non posso salvarlo e non credo sia richiesto a nessuno. Tutto quello che dobbiamo fare, è usare le nostre capacità per renderlo un po’ più giusto».

A noi non resta altro che sostenere la lotta iniziata da Snowden volta a una maggiore tutela della privacy individuale, consapevoli che la libertà (quindi anche l’esercizio politico che ne deriva) non può essere demandata all’uso (e all’abuso) subdolo di un algoritmo.

Grazie Ed.

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