Parafrasando una nota serie televisiva, negli anni abbiamo imparato a conoscere Wikileaks come “la casa di carte” (confidenziali) più importante della rete. Grazie alla piattaforma creata da Julian Assange, la comunità mondiale è entrata in possesso del materiale con cui l’hacker-editore-giornalista australiano ha colpito al cuore, facendo leva sulla totale trasparenza delle informazioni pubblicate, istituzioni, apparati militari, regimi totalitari corrotti, banche e multinazionali.
Supportato da questa convinzione e lasciando ad altri l’analisi legata a una presunta assenza di etica professionale, (una delle principali accuse rivolte ad Assange, infatti, è la revisione superficiale del materiale pubblicato), Wikileaks ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla corruzione in Kenya e Perù, sulla detenzione dei detenuti a Guantanamo e Abu Ghraib, sui segreti della Banca Baer e sul piano di Banca Barclays per dribblare il fisco, su Scientology, sullo scarico di rifiuti tossici in Costa d’Avorio ad opera della multinazionale Trafigura, sul “Climagate”, sulle guerre in Afghanistan e Iraq (con in cima il clamore suscitato sull’opinione pubblica dal video “Collateral murder”) e sul cosiddetto “Cablegate”.
In sintesi, poca forma e moltissima sostanza.
Eppure, fra gli scoop regalati da Wikileaks, uno più di altri spicca per intensità e impatto emotivo.
Si tratta dei quasi 600mila messaggi alfanumerici 1 scambiati attraverso pager (il cercapersone, ndr) e sms, l’11 settembre 2001, giorno degli attacchi contro il World Trade Center e il Pentagono (un quarto aereo, forse diretto verso la Casa Bianca o il Campidoglio, precipitò vicino a Shanksville, in Pennsylvania, grazie all’intervento dei passeggeri del volo United Airlines 93), tra dipendenti governativi, ma anche privati cittadini. Circostanza, quest’ultima, che ha attirato non poche critiche ad Assange da parte di molti lettori infastiditi dalla presenza di dati sensibili.
Le comunicazioni, probabilmente sottratte alla Nsa 2, e pubblicate su Wikileaks il 25 novembre 2009 3, rappresentano una cruda – ma incisiva – testimonianza della giornata. Il primo messaggio, come riportato dalla piattaforma, è stato registrato cinque ore prima dell’attacco alla torre nord del WTC, mentre l’ultimo, 24 ore dopo.
Quello che emerge otto anni dopo è un diario, una sorta di “diretta-differita” dei tragici eventi che cambiarono la storia degli Stati Uniti, una potenza scopertasi – in quella soleggiata giornata di settembre – inaspettatamente fragile e vulnerabile.
Tuttavia, a colpire di più all’interno delle oltre sei milioni di parole 4 inviate, fatte perlopiù di noiose informazioni tecniche intercorse tra i vari uffici, sono i messaggi di natura strettamente privata da cui prorompe ansia, preoccupazione, paura e terrore.
Conversazioni toccanti come “Please call me asap. I need to know if you are ok. – Ellen (Chiamami subito per favore. Ho bisogno di sapere che stai bene. Ellen), “Center is on fire!!!! No joke (Il centro ha preso fuoco – non sto scherzando). 5 Nel trambusto della giornata non mancano comunque gli aspetti involontariamente comici.
Infatti, se da un lato alcuni innamorati, probabilmente inconsapevoli della portata della sciagura, si lanciano in ardite frasi d’amore forse frutto della complice consuetudine con cui molte coppie desiderano, così, augurarsi una buona giornata, dall’altro non scarseggiano le contumelie, anche colorite, rivolte a stampanti inceppate oppure computer difettosi.
Per la maggior parte degli americani, però, sta montando la preoccupazione, e dai testi pubblicati da Wikileaks inizia a emergere l’apprensione per la sorte dei propri cari: “Larry, call Brian. Want to know if our men are okay, saw a plane hit bldg” (Larry, chiama Brian. Vuole sapere se i nostri uomini stanno bene. Abbiamo visto un aereo colpire il palazzo); “A small plane crashed into the World Trade Center in New York just now. Call me, your wife” (Un piccolo aereo si è appena schiantato sul World Trade Center a New York. Chiamami, tua moglie); “I’m ok: i saw the whole thing. Was on the roof looking at the first fire when I saw the second plane plow into the second tower. Unbelievable, literally…I was inside when they collapsed. Still in my apt, nowhere to go… This is the end of the world as we know it…” (Sto bene. Ho visto tutto. Ero sul tetto a vedere il fuoco quando ho visto il secondo aereo colpire la seconda torre. Incredibile, letteralmente…Ero dentro quando sono crollati. Ancora nel mio appartamento, non avevo nessun posto dove andare…questa è la fine del mondo come lo conosciamo…), “I’m terrified. I needed to tell you that I truly love you. Always. Diane”. (Sono terrorizzata. Avevo bisogno di dirti che ti amo veramente. Sempre. Diane).6
All’appello non mancano, per esempio, anche coraggiose, quanto tardive, dichiarazioni d’amore figlie, probabilmente, della concitazione del momento: “I know you are in a new relationship and you don’t care about me. But just in case anything happens know I love you. Missed ya goodbye” (So che hai una nuova relazione e che non t’importa di me. Ma se succede qualcosa sappi che ti voglio bene. Già mi manchi, addio).
Dall’analisi dei testi, spesso semplici, rapidi, convulsi, talvolta sgrammaticati, l’espressione che ritorna con maggiore frequenza è “Per favore”. Per favore chiama, per favore facci sapere dove sei, per favore dimmi se tutto è a posto… Due semplici parole che, alla luce di quanto accaduto, leggiamo oggi con occhi diversi.
Sono gli occhi di chi considera quei toni accorati alla stregua di un perdono, di una preghiera laica, di un’implorazione, di un tenerissimo sollecito.
Quel giorno, in diretta televisiva mondiale, abbiamo assistito, ammutoliti e attoniti, alla morte di migliaia di persone innocenti. Ognuno di noi, a distanza di tanti anni, coltiva ancora dentro di sé il senso e la portata di quel dramma attraverso un intimo archivio costituito prevalentemente da agonici flash: immagini, voci e fotografie.
Eppure, è solo grazie a Julian Assange e alla sterminata quantità di materiale messo in rete da Wikileaks, se siamo stati in grado, empaticamente, di toccare con mano la verità; quella non ritoccata, quella non censurata di una giornata iniziata come tante altre che, invece, avrebbe cambiato ineluttabilmente, nel giro di poche ore, il corso della storia e delle nostre vite.